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La sentenza su Juve-Napoli è uno dei pezzi del mosaico della gestione del potere sportivo in Italia

È più che un brutta sentenza. È un modo brutale per ricordare chi comanda. Chi voleva riformare lo sport, come Beha e Mennea, è sempre stato tenuto ai margini

La sentenza su Juve-Napoli è uno dei pezzi del mosaico della gestione del potere sportivo in Italia
Il giudice Sandulli

La sentenza della Corte d’Appello della Figc sul caso Juventus-Napoli ha ricevuto giustificate critiche sia per i toni duri contro il Napoli, accusato di aver preordinato la sua assenza in campo a Torino per l’intenzione di non volere disputare la partita (per la paura di perdere sul campo, semplicemente assurdo) sia per gli argomenti giuridici, talmente poveri da ridursi alla ossessiva ripetizione del concetto dell’alibi precostituito che a sua volta si basa sul sospetto di complicità o connivenza dell’autorità sanitaria di Napoli; insomma, un quadro a tinte fosche che descrive la condotta del Napoli come una vera e propria frode sportiva, un tentativo di alterare il torneo di Serie A, persino di piegare le istituzioni sanitarie ai propri interessi, come se il Napoli avesse tramato per ottenere una copertura giuridica e sanitaria per il proprio piano truffaldino.

L’impostazione di fondo è la prevalenza dei protocolli sanitari della Figc su qualsiasi altro atto in materia sanitaria da parte delle competenti autorità, come se la salute dei tesserati fosse materia riservata al solo mondo dello sport, senza intrusioni non gradite; infatti, la sentenza da un lato rimarca che l’applicazione del protocollo è rimessa alle sole istituzioni sportive, senza alcuna competenza delle Asl, dall’altro entra nel merito delle decisioni delle Asl (adottate in applicazione delle leggi dello Stato e della Regione), di fatto disapplicandole o addirittura considerandole parte del piano di AdL per l’imprecisata volontà di far saltare la partita.

Ma la critica al testo e ai contenuti della sentenza non basta perché la lettura della vicenda non può limitarsi a una mera verifica tecnico- giuridica; non è (solo) una brutta sentenza, per giunta infondata (si parla di complotto ma prove nessuna, solo sospetti ingiustificati), è uno dei pezzi del mosaico della gestione del potere sportivo in Italia, quindi un contesto ben più ampio dove la posta in gioco non è solo una partita (che alla fine, se non si fosse accecati dalla faziosità, sarebbe stata semplicemente rinviata e disputata in altra data, come il sano spirito sportivo impone) ma la difesa degli equilibri politico-sportivi nel mondo del calcio.

Un modo brutale per ricordare chi comanda (e soprattutto, come) ai ribelli e ai dissenzienti e quindi, guarda caso, al Napoli e al suo presidente.

In attesa che un caso identico si verifichi a parti invertite (e le Asl che ordinano l’isolamento di calciatori o di intere squadre si stanno moltiplicando in tutta Italia, come è giusto e normale che sia) e di verificare la reazione di chi oggi plaude alle sanzioni il Napoli, bisogna alzare lo sguardo e passare dal testo della sentenza al contesto nel quale il mondo dello sport (e con esso della giustizia sportiva) opera e governa, per una riflessione generale su sport e società italiana, senza incorrere nel solito errore della “memoria corta” e del tifo calcistico che travisa la realtà; secondo Guido Ruotolo è scontro di potere interno alla Federcalcio che contrappone l’attuale Presidente al suo “rivale”, una guerra di posizione sull’autonomia che lo sport rivendica (e che si traduce, in definitiva, sulla pretesa di un governo senza controlli sull’intero movimento sportivo, oltre e al di là del diritto comune) e questa critica ha certamente fondamento logico e oggettivo per i fatti inconfutabili su cui si basa ma si può andare anche oltre poiché è difficile scorgere in questa contrapposizione la differenza tra “buoni” e “cattivi” e persino individuare chi è più o meno “buono”, e le ultime speranze sono riposte nel ricorso alla commissione del Coni e quindi in definitiva al Presidente Malagò, come se la giustizia dipendesse dal peso politico anziché dalla valutazione dei fatti.

La soluzione sperata (ossia, la revoca delle sanzioni e la disputa della gara e che vinca il migliore, come lo sport insegna) è dunque affidata al governo centrale dello sport in Italia e il mondo del calcio, troppo impegnato nella difesa del sistema del protocollo, strumento di potere più che presidio di tutela della salute, ha così minato le proprie stesse fondamenta, opponendosi all’unica soluzione realmente “sportiva” (si vince o si perde sul campo, non con i pugni battuti sul tavolo) per sottoporsi al giudizio del collegio del Coni che (si spera) è il depositario dei principi di lealtà e correttezza in nome dei quali potrà rispondere alle domande insolute della decisione criticata, cioè essenzialmente se il Napoli abbia volutamente evitato la trasferta e se, di fronte al rischio sanitario per la partenza della squadra (obbligata all’isolamento fiduciario), la dirigenza della società avesse altre alternative se non restare a casa, domande semplici ma alle quali la sentenza non risponde.

Ci sono uomini di sport che il mondo dello sport teneva ai margini e non ascoltava, per la loro visione etica, Pietro Mennea e Oliviero Beha, voci isolate nel conformismo dello sport italiano, entrambi convinti che il sistema, a partire dal calcio, dovesse essere riformato per riaffermare valori antichi e profondi; per Mennea, lo sport mondiale, da solo, non era in grado di affrontare i gravi problemi che lo attanagliavano dall’interno (corruzione, scommesse, doping) e vi era la necessità di un intervento dei governi nazionali per riconquistare la dimensione morale e formativa dello sport, per Beha i mali dello sport sono gli stessi di una società malata e il riscatto deve partire dalla presa di coscienza individuale, prima ancora che collettiva, dei valori sportivi.

Basterà l’ultimo grado di giudizio a dare giustizia al Napoli (e allo sport)? Impossibile dirlo ma ricordiamoci la storia con la S maiuscola che di fronte ai crimini del nazismo chiamò i responsabili a risponderne a Norimberga, per confermare che diritto e morale vincono ogni sopruso; quando lo sport avrà la forza di immaginare la propria Norimberga, sarà davvero un giorno nuovo.

Paolo De Angelis, magistrato

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