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Il primo Special-One è stato Helenio Herrera: “Il tifo è passiòn, il calzio è dinero”

Quando morì, la moglie Fiora disse: “È morto un uomo crudele, prepotente, dittatore, però così intelligente da non potermene staccare»

Il primo Special-One è stato Helenio Herrera: “Il tifo è passiòn, il calzio è dinero”

Il primo e inimitabile special-one. Ai miei tempi. Helenio Herrera di Buenos Aires nato da Paco il sivigliano e Maria Gavilan andalusa. A tre anni fu portato in Marocco. A dieci faceva il facchino al porto di Casablanca. A diciotto il garzone di fonderia e il terzino nella squadra del Roca Negra. Quando superò i diciotto anni si imbarcò su una nave per Bordeaux e qui prese il treno per Parigi. Vendette carbone per le strade e giocò terzino nello Stade Français. Quando si ruppe una clavicola, smise di giocare. Andò ad allenare il Valladolid nella Vecchia Castiglia. Allenò l’Atletico Madrid. Allenò il Malaga. Allenò fuggevolmente il La Coruña. Allenò il Siviglia. La sua fama corse per tutta la Spagna. In Portogallo allenò il Belenenses. Rientrò in Spagna e allenò il Barcellona. “Il tifo è passiòn, la passiòn è il calzio, il calzio è dinero”.

Coppa delle Fiere 1958-59. Era de maggio. Barcellona-Inter 4-0 e Inter-Barcellona 2-4. Helenio sulla panchina catalana. Se ne innamora Angelo Moratti di Somma Lombardo, petrolio a fiumi, presidente dell’Inter con villa fuori Milano, un parco, una pista da ballo, due biliardi, una pista di bowling, la moglie Erminia e cinque figli. E qui fu portato Helenio Herrera. La signora Erminia notò i suoi occhi di topo, i capelli trattati con la tintura, il naso d’aquila e la fronte bozzuta solcata da rughe profonde.

Estate del 1960. Ad Helenio fu consegnato un sacco di pelle. Il sacco conteneva 18 milioni, premi doppi e la chiave di un appartamento milanese di lusso. Ufficialmente, allenatore dell’Inter.

Su uno dei suoi cartelli alla Pinetina scrisse: “Difesa non più di trenta gol, attacco più di cento gol”. Taca la bala. I milanesi replicarono: “Tachèt al tram”.

L’Inter di Helenio impiegò tre anni prima di vincere. Chiamò a sé il figlio del macellaio di La Coruña e disse: “Ecco Luisito Suarez”. Mise su la difesa col capomastro Armando Picchi di Livorno, col rocciatore Tarcisio Burgnich, con l’eleganza del trevigliese Giacinto Facchetti, un nome da frate, e chiamò dalle terre brasiliane un cavallino nero di nome Jair, magro come un chiodo e veloce come il vento. Non s’intese molto con Mariolino Corso, che però era il beniamino della signora Erminia, e molto ottenne da Sandrocchio Mazzola, il figlio magro di Valentino.

Trentamila ambrosiani lo seguirono a Vienna e l’Inter di Helenio conquistò la Coppa dei campioni contro i realisti di Madrid e fu la sera del maggio 1964 in cui Tagnin ebbe l’ordine di non mollare mai Di Stefano seguendolo anche alla toilette se se ne fosse presentato il caso.

Furono otto gli anni di Helenio all’Inter con tre scudetti, due Coppe dei campioni e due Coppe intercontinentali. Disse: “Sono colpevole di essere il più bravo”. E disse: “Hanno escritto che Helenio Herrera tienes dos milas cravatte. No es vero, però lascio dire. La pubblicidad es todo”. Chiudeva bene la difesa e altrettanto bene apriva il portafogli di Angelo Moratti.

Lo special-one dei miei tempi è stato marito di Lucienne Leonard a Parigi e di Maria Morillo a Madrid, padre di primo letto di Francis, Elena, Linda, Daniela, padre di secondo letto di Helenito e Rocìo. Quando si ritirò nell’umidità romantica di Venezia si consegnò alle braccia trevigiane di Fiora, giornalista giovane, bella e fatale, capelli lunghi di seta, e nacque Helios, il settimo figlio, e adottò una chica spagnola di nome Luna.

Fu felice la sua ultima vita in un palazzo del Quattrocento a Rialto, e Fiora gli preparava la colazione con semi di miglio, di avena e di germogli di soia impastati nel latte e nel riso. Helenio continuò a riempire a penna i suoi quaderni di appunti, che furono ottanta, e un giorno Fiora Gandolfi me ne inviò uno perché avevo scritto bene di Helenio.

Il Mago visse ottant’anni e sette mesi, e morì nella casa di Rialto. E Fiora disse: “È morto un uomo crudele, prepotente, dittatore, però così intelligente da non potermene staccare. Vestiva in maniera clamorosa, portava scarpe bianche come confetti e un anello d’oro con le sue iniziali H.H. Negli ultimi tempi ci vedeva poco, era sordo e guidava la macchina in maniera spericolata. Ha voluto essere cremato. La riteneva una misura igienica”.

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