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Galimberti: «Siamo una società disattrezzata psicologicamente ad affrontare le difficoltà»

Intervista a Veltroni sul Corsera: «Siamo in una condizione di spaesamento che finisce per invocare il decisionismo, il dittatore illuminato»

Galimberti: «Siamo una società disattrezzata psicologicamente ad affrontare le difficoltà»

Walter Veltroni, sul Corriere della Sera, intervista Umberto Galimberti. Come al solito, le chiacchierate con il filosofo-antropologo sono sempre molto interessanti. Abbiamo scelto tre estratti, raccomandandovene la lettura integrale.

Nella prima parte, con il lockdown di marzo, quella che si era verificata era una sorta di angoscia. Che non è la paura, perché la paura è un ottimo meccanismo di difesa. Vedo un incendio, scappo. Ha come oggetto qualcosa di determinato. Mentre l’angoscia non ha qualcosa di nitido davanti a sé. È quello che provano i bambini quando si spegne la luce nella loro stanzetta e loro non sono ancora addormentati. La sensazione spiacevole di non avere più punti di riferimento. (…) Oggi invece la condizione allora è quella di spaesamento, non più di angoscia. Cosa dobbiamo fare, come ci dobbiamo comportare… Sabbie mobili. È un sentimento che oscilla tra il ribellismo, la rassegnazione e la disperazione non solo dei parenti di coloro che muoiono, ma anche di quelli che perdono il lavoro o chiudono il negozio o l’impresa. (…) Non abbiamo più il paesaggio in cui abitare la nostra vita quotidiana con una certa quiete. Abbiamo perduto la normalità del nostro vivere».

«Questo spaesamento finisce per invocare in qualche maniera una forte richiesta di decisionismo. E questa non è la cosa più bella in ambito democratico perché dal desiderio di decisionismo alla clonazione dell’uomo forte il passo è molto breve. Quello che si vuole è che qualcuno riesca a delimitare i confini, per costruire un paesaggio dove si possa vivere con una certa previsionalità ed una certa quiete. E lo spaesamento è una condizione psicologica abbastanza pericolosa. C’è chi invoca il dittatore illuminato, per esempio. Ma non siamo all’epoca di Federico II. E poi dov’è il dittatore illuminato? Questo sentimento attraversa anche parte della sinistra, cioè persone che non sono populiste, ma che non possono sopportare lo stato di incertezza determinato dallo spaesamento».

«Oggi abbiamo un’umanità molto più debole, molto più fragile, molto più incerta rispetto a quella uscita dalla Seconda guerra mondiale. Ogni generazione che ha avuto a che fare con le guerre, poi si è data da fare per la ricostruzione della società e della propria vita. E in questo ha trovato il senso, individuale e collettivo del proprio cammino. Noi siamo da settanta anni in uno stato di pace beneficiati da una cultura consumistica che accontentava ogni nostro desiderio. Ma una società disattrezzata psicologicamente per affrontare le difficoltà. Una società debole, non abituata al sacrificio, alla fatica, all’impegno, alla solidarietà. E allora è più difficile sopportare le tragedie come può essere questa. Perché siamo meno forti, molto meno forti di prima».

 

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