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Contrordine, il calcio italiano non è più povero. Annuncia che produce il 12% del Pil del calcio mondiale

Un giorno chiedono al governo aiuti per evitare il collasso, l’altro il Bilancio Integrato della Figc snocciola numeri impressionanti. La grande industria è tale a fasi alterne

Contrordine, il calcio italiano non è più povero. Annuncia che produce il 12% del Pil del calcio mondiale

Appena pochi giorni fa il calcio italiano si diceva offeso perché il governo italiano non aveva risposto alle richieste di “aiuti” di un settore sull’orlo del fallimento. Oggi scopriamo che il fatturato diretto generato dal settore calcio è stimabile intorno ai 5 miliardi di euro, ovvero il 12% del PIL del calcio mondiale viene prodotto nel nostro Paese. Lo dice la quinta edizione del Bilancio Integrato, sviluppato con la consulenza tecnica e metodologica di PwC e pubblicato oggi sul sito della Figc.

Nello specifico il bilancio della Federcalcio snocciola numeri impressionanti: 4,6 milioni di praticanti, 1,4 milioni di tesserati, oltre 570.000 partite ufficiali disputate ogni anno (una ogni 55 secondi), di cui il 99% di livello dilettantistico e giovanile. In soldoni la FIGC negli ultimi 15 anni “è stata sempre in grado di produrre un utile, per un valore economico complessivamente creato pari a 48,7 milioni di euro”.

Il giorno dopo l’ufficializzazione del sì all’offerta del consorzio di fondi di investimento CVC-Advent-Fsi, che entra col 10% (cioè 1,7 miliardi di euro) nella media company che gestirà la commercializzazione dei diritti televisivi del campionato, prendiamo dunque atto che “la grande industria calcio” è tale, per dimensioni di bilancio.

Lo stesso Gravina se ne bea: “I riscontri sono davvero impressionanti, sia per l’enorme coinvolgimento tra i nostri concittadini, sia per il rilevante indotto economico, sociale e sanitario generato“. Il calcio per il presidente della Figc è sempre più “la grande passione degli italiani, come Federazione abbiamo il dovere di sviluppare programmi adeguati, come già stiamo facendo, per impedire che il Covid la pregiudichi irrimediabilmente”.

E poi c’è l’indotto, che viene sventolato come parola chiave ogni volta che il calcio italiano prova a raccontarsi meritevole di aiuti di Stato. Il programma di studio sviluppato in partnership con l’UEFA (SROI – Social Return on Investment Model) ha definito il rilevante impatto socio-economico del calcio italiano, che risulta pari nel 2018-2019 a 3,1 miliardi di euro, considerando l’indotto economico, nonché quello sociale e sanitario.

Questo è il calcio – nei numeri ufficiali del suo Bilancio Integrato – che continua a chiedere sovvenzioni (in vari modi, compreso il ritorno del betting) a fronte di un’immobilità che nessun’altro sistema economico in crisi può permettersi. Lo ha scritto molto bene Gianfranco Teotino sulla Gazzetta dello Sport qualche giorno fa:

“Il calcio no, non ha pensato di cambiare niente: né la struttura dei campionati (riforma urgente già prima della pandemia), né l’offerta del prodotto-partita (oggi invisibile a chi non è abbonato alle pay tv e talvolta, come nel caso della Coppa Italia, invisibile tout court). Non è stato preparato un piano di contenimento dei costi, Federcalcio e Lega non si sono premurate di mettere intorno a un tavolo Associazione calciatori e società per concordare la revisione degli stipendi, nessuno si sta preparando a rendere gli stadi Covid-free per quando sarà finita l’emergenza. Di fronte a questa incapacità di agire a propria tutela, diventa difficile acconsentire anche a richieste logiche come il differimento delle scadenze fiscali o parziali decontribuzioni. Soprattutto se incondizionate“.

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