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“Padrenostro” è Favino ma sono anche i figli che cercano i padri

All’attore è andata la Coppa Volpi. Gli anni Settanta e il terrorismo fanno da sfondo al rapporto di un bambino con il suo genitore

“Padrenostro” è Favino ma sono anche i figli che cercano i padri
Venezia 77 ha consegnato a Pierfrancesco Favino la Coppa Volpi per “Padrenostro”, il film di Claudio Noce e quindi la curiosità di vederlo ha preso molti. Roma 1976, in una casa borghese Alfonso Le Rose (Pierfrancesco Favino) è un dirigente della Polizia di Stato che ha una classica famiglia anni ’70: la moglie Gina (Barbara Ronchi) e due figli, la piccola Alice (Lea Favino) che ama il ballo classico e l’undicenne Valerio (Mattia Geraci) che ha il caschetto come Re Cecconi ed ama Long John.
Valerio, che è il vero protagonista del film, è un bambino che cerca un’identità riferendosi – come tutti in quel tempo –  al padre che è sfuggevole e poco presente per il lavoro di responsabilità che svolge e la mamma Gina non riesce a surrogare la figura paterna. Poi l’eventus damni: l’attentato che l’8 giugno 1976 vede protagonista Alfonso che avviene sotto casa e che Valerio vede nella sua interezza (Noce invero raffigura ciò partendo da dolenti memorie familiari).
Ritornato a casa il padre, Valerio inizia a frequentare Christian (Francesco Gheghi) un ragazzo quattordicenne che sembra vivere in strada e che ha un’origine familiare misteriosa: è il suo primo amico. La vicenda va avanti tra fughe per sottrarsi ai terroristi dei Nar e fughe dall’affetto per un figlio che cercava solo un padre. Il film è perfetto nella ricostruzione linguistica, ambientale e scenografica di quegli anni che chi scrive ha vissuto e che ricorda. Il finale è rivelatorio come una tragedia greca raccontata da un pranoterapeuta della Sila: i padri ci vogliono, sono essenziali e le loro colpe ed i loro meriti non devono ricadere sui figli che li cercano e che vogliono, però, anche persone con cui camminare assieme.
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