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Marisa Laurito racconta Eduardo: «Una disciplina inflessibile. Lavorare con lui era come andare in fabbrica»

Al CorSera: «Una volta mentre andavo allo stadio con De Crescenzo, due guappi, a Forcella, ci sequestrarono per portarci a casa del boss Giuliano, mio ammiratore. Poi lo invitammo a venire con noi ma era ai domiciliari».

Marisa Laurito racconta Eduardo: «Una disciplina inflessibile. Lavorare con lui era come andare in fabbrica»

Sul Corriere della Sera una lunga intervista a Marisa Laurito. Racconta i suoi esordi, la reazione della famiglia alla notizia del primo contratto firmato con Eduardo De Filippo, quando aveva 21 anni. La risposta del padre, operaio specializzato delle Ferrovie dello Stato:

«La nostra famiglia è sprofondata nel buio più profondo».

Per lei avrebbe preferito la carriera da maestra e una famiglia con tanti bambini. Firmò comunque il contratto con De Filippo. Aveva faticato per ottenerlo, dopo aver recitato per anni nei teatri parrocchiali.

«Il mio idolo era De Filippo, lo spiavo da dietro le quinte del Teatro San Ferdinando, finché riesco a ottenere un provino».

Si presentò con il monologo finale di Donna Concetta in “Non ti pago”.

«Lui mi ascolta attento e, alla fine, mi dice: “Seguitemi in camerino”. Pensai che volesse dirmi in disparte che ero stata una schifezza, per non sputtanarmi davanti agli altri. All’epoca non sapevo che Eduardo non era attento a certe delicate sottigliezze. E invece, il Direttore, così veniva chiamato, prende in mano il copione della commedia Le bugie con le gambe lunghe, comincia a cambiare tutte le parole con la “erre”, sostituendole con altre senza, perché io ho la erre moscia. E nello scegliere le parole, mi chiedeva pure consiglio! Ero imbambolata, non avevo nemmeno capito che mi stava già coinvolgendo in quello che sarebbe stato, poi, lo spettacolo in programma».

Poi firmò il contratto: 9mila lire al giorno, una cifra notevole per quei tempi. Alla fine anche i genitori si rassegnarono all’idea e iniziarono a seguirla anche durante le sue esibizioni.

Di Eduardo dice:

«Un maestro di scena e di vita, a cominciare da una disciplina inflessibile. Lavorare nella sua compagnia era come andare in fabbrica: vicino al suo camerino, c’era un tavolino, con sopra un registro. Quando arrivavi, segnavi data, ora e firmavi l’ingresso in teatro. Iniziavano quindi le prove a tavolino: per due o più giorni di seguito, lui leggeva tutti i ruoli dandoci la giusta interpretazione. Poi si passava alle prove in piedi e ti faceva vedere la gestualità, sentire l’intonazione dei personaggi. Infine, le prove in palcoscenico: Eduardo si sedeva di spalle al sipario chiuso, noi tutti in fila davanti a lui, alla giusta distanza. Ognuno recitava le battute assegnate, aggiungendo la propria creatività, e tutti dovevamo assistere dalla prima all’ultima scena. Un esercizio fondamentale che ti consentiva di guardare come lavoravano gli altri e confrontarti con loro. Inoltre, era proibito imbastire legami amorosi tra colleghi: due attori vennero licenziati, perché fu scoperta la loro tresca. E anche in questo aveva ragione: mi è capitato, negli anni, di trovarmi in compagnie dove c’era gente fidanzata o sposata e ne ho viste di cotte e di crude: quando litigavano era un disastro per lo spettacolo, alcuni si menavano in scena!».

Poi la lunga amicizia con Luciano De Crescenzo. Con lui visse l’esperienza di un sequestro. Lo racconta.

«Eravamo proprio in attesa di andare allo stadio. Stavamo passeggiando per le strade del quartiere Forcella. Veniamo avvicinati da un paio di guappi che mi avevano riconosciuto, ci invitano ad andare con loro: volevano portarci a casa del boss Luigi Giuliano, mio ammiratore. Impossibile rifiutarsi. Arriviamo dal boss, che ci accoglie con complimenti e gradevolezze di ogni tipo, ringraziandoci per essere andati a trovarlo. Ma poi dovevamo andare a vedere la partita e lo invitammo, a nostra volta, a venire con noi. Il boss rispose: “Non posso, sono agli arresti domiciliari”».

 

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