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«L’inaugurazione del Ponte? Beffarda. Come avrei potuto sedere accanto agli assassini di mio figlio?»

Il Mattino intervista il papà di Giovanni Battiloro, morto nel crollo del Morandi. «Non basta ricordare le 43 vittime e pensare alla ripartenza sul sangue di persone che sono rimaste uccise. Aspettiamo ancora che sia fatta giustizia»

«L’inaugurazione del Ponte? Beffarda. Come avrei potuto sedere accanto agli assassini di mio figlio?»

Ieri è stato inaugurato, a Genova, il Ponte San Giorgio, nato sulle macerie del Morandi. Nel crollo del 14 agosto persero la vita 43 persone. Tra queste, Giovanni Battiloro, telecineoperatore di Torre del Greco di appena 29 anni. Andava in vacanza a Nizza con alcuni amici, Matteo Bertonati, Gerardo Esposito e
Antonio Stanzione. Tutti morti.

Oggi il Mattino intervista Roberto, il papà di Giovanni.

«Un’inaugurazione davvero balorda, beffarda. Non basta ricordare le 43 vittime e pensare alla ripartenza sul sangue di persone che sono rimaste uccise. Il ponte in piedi in tempi record, ma 43 famiglie italiane sono in frantumi e non si ricomporranno mai più. E la giustizia dov’è?».

Per lui l’inaugurazione di ieri è stata

«l’ennesima passerella politica sul sangue versato da 43 persone e sul dolore incolmabile di altrettante famiglie che aspettano ancora che sia fatta giustizia per i propri cari, ma si gioisce per il nuovo ponte mentre della giustizia nemmeno l’ombra. Il processo non è ancora partito: lo scorso 14 luglio c’è stato il rinvio ad ottobre per le perizie. Un vergognoso ritardo».

Il signor Battiloro ha deciso di non partecipare all’inaugurazione.

«Ci hanno chiamato fino a qualche giorno fa, ma come avrei potuto sedere accanto agli assassini di mio figlio?».

La famiglia Battiloro è tra quelle che hanno rifiutato il risarcimento di Autostrade per partecipare al processo.

«Ho deciso di andare avanti fino in fondo per la giustizia e la verità. Così avrebbe voluto mio figlio. Lui si è sempre battuto per la giustizia, contro l’illegalità diffusa nella sua terra».

Il papà di Giovanni parla del dolore lancinante, del modo in cui la famiglia si batte per sopravvivere.

«Per me, mia moglie e mia figlia ogni giorno è come se la strage fosse accaduta ieri. È un dolore vivo, lancinante che non si trasforma».

L’ultimo segnale di vita da Giovanni arrivò tramite un Whatsapp, alle 11,15 del 14 agosto 2018. Dopo pochi minuti la sua vita fu spazzata dal crollo del ponte.

«Ho ricevuto l’ultimo Whatsapp da mio figlio alle 11.15 di quel 14 agosto, ho lo screenshot conservato. Mi scriveva “qui diluvia, siamo quasi a Ventimiglia”; io gli dicevo di stare attenti. Poi non l’ho più sentito. Quando appresi del crollo non volevo credere che fosse accaduto proprio a loro. Poi ho sentito mia figlia Laura urlare al telefono ed ho ricevuto la conferma dal sindaco. Il mondo mi crollò addosso».

Otto ore dopo la strage Roberto Battiloro era su quel ponte.

«Io ci sono tornato ad otto ore dalla strage per riconoscere i corpi e riportare a casa i nostri figli rinnegando i funerali di Stato».

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