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C’era una volta la strategia del grande Milan abbandonato da Rangnick in una sera d’estate

Il tedesco ha fiutato l’aria e si è sfilato. Il club e Gazidis si sono arresi all’evidenza e al buon senso: Pioli confermato a mezzanotte. Tu chiamalo, se vuoi, effetto Gattuso

C’era una volta la strategia del grande Milan abbandonato da Rangnick in una sera d’estate

Stavolta niente ribaltone in puro stile Elliott, come sembrava già annunciato. Si prospettava l’ennesima rivoluzione, dalla dirigenza allo staff tecnico, con una nuova strategia di mercato che avrebbe portato ad altre profonde modifiche della rosa. E invece è stata clamorosamente scelta la via della continuità, con la conferma di Stefano Pioli e conseguentemente del board attuale. I risultati ottenuti dalla ripresa del campionato dopo il lockdown hanno legittimato l’operato dell’allenatore, di Maldini e Massara, con il Milan che può guardare avanti con ritrovato ottimismo e pronto a tornare in Europa. Ha pesato l’effetto Gattuso: il Milan ha avuto paura di mangiarsi le mani, come già avvenuto con l’attuale allenatore del Napoli troppo precipitosamente scaricato lo scorso anno.

Riavvolgiamo il nastro. La stagione è cominciata come si sarebbe dovuta concludere. I rossoneri ripensano il progetto tecnico, indicano Giampaolo per sostituire Gattuso e la triade Boban-Maldini-Massara per sfruttare prestigio e conoscenza sul mercato e nella gestione della squadra. La scelta dell’allenatore ha un intento preciso, quello di dare alla squadra una nuova dimensione, aumentarne l’efficacia attraverso la bontà del gioco che a Giampaolo era sempre stata riconosciuta e che Gattuso tra le mille difficoltà non era riuscito a trasmettere.

Dopo la sentenza del TAS che esclude il Milan dall’Europa League, si apre così una campagna acquisti fatta da diversi investimenti importanti, nel tentativo di rincorrere quel quarto posto che eviterebbe poi lo smantellamento necessario per proteggere il bilancio. Arrivano Rebic, Leao, Hernandez, Bennacer, Duarte e Krunic, a fronte di due vere cessioni, Locatelli e Cutrone. L’inizio di Giampaolo è molto turbolento, con sette punti conquistati in altrettante partite. Il suo metodo, a differenza di quanto accaduto negli anni precedenti con squadre di media o bassa classifica, non attecchisce. Aspetti dunque che convincono la società ad esonerarlo dopo il rocambolesco successo sul Genoa.

La scelta ricade su Pioli, una specie di normalizzatore. Già si punta alla figura del traghettatore in pratica, per concludere dignitosamente una stagione appena cominciata nel peggiore dei modi. I risultati continuano a stentare, ma nel mercato di gennaio avviene la svolta: arrivano Ibrahimovic, Kjaer e Saelemaekers e contemporaneamente la dirigenza chiude alcune cessioni necessarie, come Piatek e Suso. La scossa arriva, ma per l’amministratore delegato Gazidis non basta. Proprio quando l’Italia cominciava la propria battaglia con un’epidemia senza precedenti, per la proprietà prende forma l’idea di affidare tutto a Ralf Rangnick e viene interrotto il rapporto con Boban.

Il ruolo che il Milan immagina per lui è quello di manager all’inglese: allenatore e dirigente per il mercato. Una carica che Rangnick, l’uomo che ha reso grande il gruppo Red Bull, può ricoprire. Elliott vuole una squadra giovane e di talento, che possa generare risultati e plusvalenze. I tanti talenti scovati dal tedesco in questo senso sono una garanzia. Le scelte del breve termine sono totalmente opposte, a cominciare dalla separazione con Ibrahimovic, che per anagrafe e stipendio non rientra nel nuovo corso.

Nei mesi successivi a Milanello si respira un clima paradossale. È chiaro come ogni membro del club, dall’allenatore a salire, abbia i giorni contati. Tutti cercano di non scomporsi nelle uscite pubbliche, poi Maldini crolla a febbraio quando ridimensiona la figura di Rangnick: “Non è da Milan”. Concetto poi ribadito anche una decina di giorni fa, forte però di un momento decisamente più positivo della squadra.

Lo scontro tra le figure tecniche e quelle dirigenziali è totale. Intanto Pioli continua a lavorare con una professionalità capace di mettere d’accordo tutti. Dà serenità all’ambiente, isola i giocatori dalle questioni extracampo, trova la quadra tattica del Milan e la squadra lo segue completamente. I risultati legittimano la sua posizione e sollevano tanti interrogativi sul suo futuro. Il nucleo della squadra, quale che sia il futuro dei dirigenti, resterà quello e l’allenatore attuale ha dimostrato di aver trovato una formula che funziona.

Gazidis è con le spalle al muro, i problemi di un eventuale avvicendamento aumentano giorno dopo giorno. Come ad esempio il pagamento di un corrispettivo per liberare Rangnick dal gruppo Red Bull. O ancora una critica che aprioristicamente celebra l’operato ottimo di Pioli solo per difendere i confini dall’invasore tedesco. A cedere è proprio l’amministratore delegato che perde anche il controllo pubblico della situazione.

A dare notizia di un dietrofront nella trattativa infatti non è il Milan ma un portavoce di Rangnick dopo l’indiscrezione pubblicata da Kicker. Intanto i rossoneri stanno giocando col Sassuolo, a decidere l’incontro è proprio Zlatan Ibrahimovic con una doppietta. Il successo è pesantissimo, spegne ogni velleità europea degli emiliani e blinda un piazzamento utile per l’Europa League della prossima stagione. Al fischio finale, quasi a mezzanotte, viene annunciato il rinnovo di contratto di Pioli, che sarà alla guida della squadra anche per le prossime due stagioni, come se fosse già pronto da un po’ ma all’insaputa di tutti, persino di Ibra. Quanto è stato difficile, alla fine, prendere la scelta più facile.

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