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La frusta di Gattuso si ammoscia sul luogo comune di Napoli città troppo bella per lavorare

La squadra sadomaso che aveva bisogno del bastone per lavorare, ora non gira “per colpa delle barche, del sole e del mare”. Gattuso come Sarri col Natale e De Laurentiis e la sua città rapace

La frusta di Gattuso si ammoscia sul luogo comune di Napoli città troppo bella per lavorare

Stipati i mandolini nelle custodie i napoletani hanno tirato fuori le barche. Il sole e il mare, complice l’estate inoltrata, hanno fatto il resto. Gattuso non se l’è più sentita di tenersi omertoso, anche lui, sulla grande tragedia di Napoli: la bellezza la rende una città repellente alla fatica, al lavoro.

“La città in questo momento non ti aiuta perché ci sono tante barche, il sole e il mare e a casa non si può stare. Soprattutto in questo momento non è facile allenare una squadra come la mia”.

Ci risiamo: è la città rapace di De Laurentiis, che il Presidente propose ai tempi di Benitez a giustificazione di un ritiro annunciato con una tirata da “padre” che è “stato figlio” anche lui, contritissimo. All’epoca gli ammutinamenti non erano ancora di moda.

“Napoli è una città estremamente rapace sul piano della bellezza, piena di distrazioni. Questi so ragazzi…”.

Quasi una propaganda turistica che Sarri declinò per la stagione autunno/inverno 2018:

“Giocare durante il Natale è troppo penalizzante, a Napoli i festeggiamenti sono superiori a qualsiasi altra città italiana e questo comporta maggior distrazione nei nostri giocatori”.

I giocatori del Napoli vengono, con avvilente cadenza, raccontati come dei ragazzini viziati, affetti da disturbi dell’attenzione. “So’ ragazzi…”. Peggio, si auto-denunciano: scolaretti con tendenze sadomaso, bisognosi del bastone dopo essersi abbuffati di inutili carote. Non per altro, il capitano, Insigne, poco tempo fa spiegò così la malriuscita esperienza di Ancelotti al comando:

“Il mister è abituato a grandi campioni, io gli dicevo sempre che noi avevamo bisogno di essere messi sotto pressione, anche bacchettati se era il caso. Mi rendo conto che la mia è un’autocritica: siamo professionisti, dovremmo camminare da soli, ma noi forse in quel momento avevamo necessità di sentire il fiato sul collo”.

Una retorica della scemenza, che Gattuso pareva aver risolto. “Ringhio”, preso quasi apposta, con frusta e frustini annessi, per arginare questa debolezza mentale, ancor più che contestuale. Per arrivare a fine luglio – sarà il caldo, o il diabolico fascino del golfo al tramonto, vai a sapere – alla riproposizione dell’alibi-cliché. A Napoli ci sono le barche, il sole e il mare. Non si può lavorare in queste condizioni. E’ come se il Maggiore Hartman si fermasse col suo sguardo truce davanti al soldato Palladilardo e gli servisse un panzarotto.

Una caduta strategica. Immaginiamo la delusione dei “ragazzi”, in attesa della sfuriata per l’ennesima prestazione deludente tradottasi invece nella pubblicazione dell’alibi più arrugginito: la cartolina non aiuta, la grande bellezza distraente, la “città rapace”.

Un tentativo grossolano di lavare i panni sporchi nello spogliatoio, e di spiegare il calo di fine stagione con un fastidio quasi sindacale, già proposto in precedenza con quel “i giocatori non sono robot, questo non è calcio”. E invece il calcio, oggi, è proprio questo. E Barcellona non è Varese: il sole, il mare, le barche ci sono anche lì. Hanno i loro problemi, ma va lo immaginate Setién che se la prende con la movida della Barceloneta? O Messi che invoca la mano pesante dell’allenatore di turno?

Vuoi vedere che il problema non è Napoli città, ma Castelvolturno? La condiscendenza, da quelle parti, pare un’infezione endemica: poveri ragazzi, costretti a restare concentrati mentre i coetanei svolazzano liberi da un baretto all’altro. Rifilando di sponda, a noi, lo sforzo non da poco – fa caldo per tutti, eh – di non cedere al moralismo scontato: non perdiamo più tempo a discutere del privilegio, dei “giovanotti pagati per correre dietro ad un pallone”. Siamo andati oltre, la “città rapace” è un copyright 2015. Anche i luoghi comuni, ogni tanto, andrebbero aggiornati.

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