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Il Sassuolo sul modello Atalanta, la provincia che vuole diventare grande

Anche il profilo societario è simile. C’era una volta lo “Scansuolo”. Oggi la squadra di De Zerbi prova a fare il salto, e i pezzi pregiati non li vende più

Il Sassuolo sul modello Atalanta, la provincia che vuole diventare grande

L’Atalanta fa provincia. La sua e pure quella degli altri. Le avevano abolite, tempo fa, e invece rinascono nel calcio: atolli finanziari e sportivi, modelli di sviluppo. La geografia politica c’entra pochissimo: il Sassuolo fa parte dello stesso territorio, segue la stessa linea. Prova lo stesso salto. La provincia, invece di rinnegarsi per sottomissione culturale alla metropoli, ora batte moneta propria: vuol vincere, giocare bene, chiudere la tradizione del vassallaggio, della Primavera conto terzi. È una rivoluzione, persino violenta.

Basta guardare i 3 gol che hanno bloccato la Juventus sul pareggio e sulla via di uno scudetto irreparabilmente suo. Una volta, arrivati a questo punto della stagione, il risultato sarebbe stato un altro: ve lo ricordate lo “Scansuolo”? Ecco.

Invece siamo qui, tutti, a riformulare i giudizi sulla “next big thing” del calcio italiano: centri sportivi nuovi e moderni, esercizio scientifico delle plusvalenze, stadio di proprietà e fatturati in aumento costante. Lo accostiamo all’Atalanta per evidenti somiglianze. La famiglia Percassi da un lato, e la Mapei degli sfortunati Squinzi (morti, moglie e marito, nell’arco di 50 giorni), la grande impresa che in pochi ancora raccontano per quella che è: imperi economici, piccoli emirati italiani. E poi, in campo, l’allevamento intensivo dei talenti, organizzati tatticamente per rompere gli schemi degli altri.

Ma il Sassuolo è evidentemente a un altro stadio evolutivo, rispetto all’Atalanta. Quelli sono alieni, puntano la Champions di sponda sul campionato, così zeppi di numeri e complimenti da giustificare persino una nota di snobismo. Gasperini con molta fatica sta uscendo dall’imbarazzo di una critica che continuava a metterlo in una casella soltanto: corrono, il bel gioco, attaccano sempre. L’hanno fatto passare per uno Zeman del 2020, mentre ora s’accorgono che l’impianto è sfaccettato, che l’Atalanta si muove in tanti modi diversi, e li cambia a partita in corso.

Nella friabilità dell’analisi tattica invece De Zerbi fa ancora parte della dialettica tra risultatismo e giochismo. Mentre a Gasperini cominciano a riconoscere un pensiero post-ideologico, De Zerbi è ancora raccontato come un allenatore monoteistico. Il “giovane” – perché a 40 anni in Italia sei appena post-pubere – che s’è fatto largo a spallate tattiche tra i conservatori della Serie C, fino a trovare un suo spazio a Reggio Emilia.

I termini degli impallinati di tattica, che lo adorano come un feticcio, sono quelli di moda adesso: la sacra costruzione dal basso (il dogma che costerà ai portiere svariate ore di psicoterapia post-traumatica), l’occupazione simmetrica degli spazi tra le linee, l’ampiezza, il fraseggio rapido, addirittura le rotazioni posizionali. Si legge in giro di “riaggressione”, ma a tutto c’è un limite.

Però De Zerbi qualche paletto l’ha messo. Il narcisismo degli schemi “troppo sofisticati” non resta confinato in esercizi di vanità. È un’etichetta che De Zerbi rifiuta: è profondamente convinto che il lavoro tattico giovi alla squadra e allo sviluppo dei suoi giocatori. Per il Sassuolo sono passati Allegri, Pioli e Di Francesco. Ma nessuno ha prodotto lo stesso livello di clamore. The Athletic gli ha dedicato un long form, qualche giorno fa appena. Sottolineando tra l’altro la funzione educativa del gioco di De Zerbi:

“Bello da guardare, ma c’è uno scopo oltre che un’estetica. La strategia è olistica. Giocare da dietro migliora la tecnica dei giocatori, li incoraggia ad assumersi responsabilità, e aumenta l’autostima”.

Il Sassuolo è di gran lunga la squadra che nella ripresa del campionato ha usato il turnover. Ed è l’unica squadra quest’anno (con l’Atalanta, guarda un po’) ad aver bloccato la Juventus allo Stadium. Dopo il lockdown ha infilato una striscia di 4 vittorie e 3 pareggi. Con un paio di “se” incastrati in maniera diversa, avrebbe potuto ufficialmente riaprire il campionato.

Ha il quinto miglior attacco della Serie A. Le tre punte del suo tridente sono in doppia cifra. Ciccio Caputo è, ancora una volta, il più prolifico attaccante italiano. Jeremie Boga è il miglior dribblatore e un sacco di altre cose che lo rendono il pezzo pregiato di un eventuale mercato in uscita.

Il passo successivo è societario. Quando stava vendendo a peso d’oro Sensi all’Inter il direttore sportivo Giovanni Carnevali dichiarò in maniera abbastanza perentoria: “Noi dobbiamo dare la possibilità a giocatori giovani di approdare nei grandi club”, certificando la dimensione ideale degli emiliani, ossia accettare il player trading come perno di stabilità a certi livelli. Ora, un anno dopo, mette a verbale tutt’altra strategia:

“Caputo, Boga, Berardi e Locatelli non li vendiamo. Abbiamo molte richieste, ma abbiamo stoppato qualsiasi interesse sul nascere. La nostra linea è chiara: non cediamo i migliori perché abbiamo un progetto ambizioso con De Zerbi. Puntiamo a trasformare Berardi nella nostra bandiera. Non ci poniamo limiti, il nostro modello è l’Atalanta, anche se ovviamente loro hanno una storia diversa dalla nostra”.

Il Sassuolo, insomma, prova a farsi una provincia a sé.

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