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Quando Gasperini nascondeva il coronavirus e faceva la morale: “cosa accadrebbe se arrivasse a Napoli?”

Il 12 marzo il tecnico dell’Atalanta – mentre a suo dire era ammalato – rilasciava interviste e ammoniva: “State a casa, state in famiglia, non uscite”

Quando Gasperini nascondeva il coronavirus e faceva la morale: “cosa accadrebbe se arrivasse a Napoli?”
Gasperini (Photo Hermann)

Il 12 marzo scorso Gasperini – stando alle sue dichiarazioni rese alla Gazzetta dello Sport – aveva la Covid-19, tutti i sintomi dell’infezione da coronavirus in corso: fisico a pezzi, gusto e olfatto azzerati, persino paura di morire.

Lo stesso giorno, il tecnico dell’Atalanta rilascia quest’intervista al Corriere dello Sport. Dice di aver guardato i valenciani come “fossero dei pazzi”, ricorda il velocissimo ritorno in patria, nella Bergamo già devastata dal contagio. E poi:

“Per quel che ci riguarda, nel giro di poche ore siamo passati dalla gioia per aver realizzato una grande impresa alla consapevolezza di vivere qualcosa di inimmaginabile. Sento soltanto le sirene delle ambulanze. State a casa, state in famiglia, non uscite. E da queste parti, in Lombardia, siamo sufficientemente organizzati, pur se in difficoltà. Mi chiedo cosa potrebbe accadere a Roma, a Napoli”.

Gasperini, che in quelle ore – a meno di clamorosi miracoli clinici – si sente male, non riesce a distinguere tra un ottimo champagne e un bicchiere d’acqua, ha – di nuovo – paura di morire, parla di “calcio come antidepressivo, come forma di sopravvivenza”. Lo considera “una parentesi di leggerezza, può risultare addirittura terapeutica. Hanno voluto dare un segnale forte, bah. Bisognava andare avanti con le porte chiuse, io la penso così”.

Lui è andato avanti, senza dire nulla. Ha dato conferma ai suoi intimi sospetti solo col test seriologico effettuato a fine maggio. Confessando nel silenzio generale, solo a posteriori. C’è voluto un comunicato del Valencia per accendere la miccia: stava male e non ha detto niente a nessuno? Scrive Tony Damascelli sul Giornale:

“La vicenda solleva una serie di interrogativi e si trascina un alone oscuro, anche perché non è chiaro se nel periodo subito successivo al trionfo di Valencia, l’allenatore dell’Atalanta abbia effettuato uno o più test del tampone. E’ un problema che non riguarda solo il tecnico torinese, ma tutto il mondo del calcio e i privilegi di cui gode, anche a livello sanitario“.

Gasperini, sconvolto dalle ambulanze che imperversavano a Bergamo, con i chiari sintomi della malattia in corso, volava in Spagna a giocare una partita di Champions, a contatto con giocatori, staff, giornalisti, pubblico. Nel nome dello “sport terapeutico”. Ammoniva: “State a casa!”. E si preoccupava di cosa sarebbe accaduto se il virus fosse arrivato a Napoli…

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