ilNapolista

Anche il catenaccio è spettacolo. Preferisco il difensivismo di Gattuso all’offensivismo di Sarri

L’Inter di Herrera sapeva essere spettacolare. Gattuso è un tattico più fine di quanto appaia, o gli piaccia apparire. Il resto devono farlo i calciatori

Anche il catenaccio è spettacolo. Preferisco il difensivismo di Gattuso all’offensivismo di Sarri
during the Italian Serie A football match SSC Napoli vs Fc Juventus. (Hermann)

Il Napoli mercoledì sera potrà battere la Juventus? Certamente sì. La Juventus è favorita? Certamente sì. Per battere la Juve il Napoli dovrà sbagliare poco o nulla. In particolare nella fase difensiva. Gattuso che è un difensivista, (come piace a me), lo sa bene. E sa che, rispetto al match con l’Inter, innanzitutto dovrà aggiungere quantità a centrocampo. Con Allan al posto di Elmas. Callejon o Fabian al posto dell’evanescente Politano. Mario Rui al posto di Hisay. Ricordiamo che contro l’Inter gli azzurri hanno subito cinque occasioni da rete nette. E ne hanno creata una. In contropiede. (Come piace a me). Partendo da una situazione di gioco con undici giocatori azzurri in area o a ridosso dell’area. Hanno condotto in porto il risultato ,però, grazie ad alcune miracolose parate di Ospina. Ma non è detto che i miracoli si ripetano.

Personalmente non credo che l’offensivismo di Sarri sia da preferire al difensivismo di Gattuso. Neanche sul piano puramente spettacolare. Ma chi lo ha detto che il vecchio catenaccio non fornisse un sublime spettacolo? Certo erano altri tempi.Era il tempo del dio pareggio: 2 punti se vincevi, 1 se impattavi. La vecchia media inglese, oggi in soffitta, predicava prudenza. Vincere in casa e pareggiare fuori. Ricordiamola, per chi non sa che cosa fosse. In casa: vittoria 0, pareggio -1, sconfitta -2. Fuori: vittoria 1, pareggio 0, sconfitta -1. Media 0 era da scudetto. Molto spesso le squadre, specialmente fuori casa, giocavano per il pareggio. Le più deboli contro le più forti giocavano per il pareggio anche in casa. Anche d’estate, nei tornei sulla spiaggia, la parola d’ordine era “primo non prenderle”. Epici catenacci nelle partite tra scapoli e ammogliati. A quel tempo il portiere poteva raccogliere con le mani il passaggio all’indietro. Perdere tempo era la regola (quando non l’accordo).

Ma che cosa era il catenaccio? I più giovani lo ignorano. Allora vale la pena fare un ripasso sull’argomento.
Anche perché l’espressione catenaccio ha ingiustamente acquisito un significato dispregiativo. Anche a me come a Max Gallo viene in mente Giorgio Gaber.
Fare il bagno nella vasca è di destra
Far la doccia invece è di sinistra
Un pacchetto di Marlboro è di destra
Di contrabbando è di sinistra.
Se attacchi fai bel calcio
Se ti difendi fai brutto calcio.

E invece io penso che si possa dare spettacolo utilizzando qualunque modulo. In fondo il catenaccio rappresentava semplicemente un’idea di gioco molto elementare. Togliere un attaccante e aggiungere un difensore. Il quale era libero da obblighi di marcatura. Perciò veniva detto “libero”. Si sistemava alle spalle di tutti gli altri difensori e andava in soccorso di un qualunque compagno che fosse superato da un giocatore avversario. Questo modulo, nato in Svizzera, si affermò qui da noi
tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.

Il primo allenatore di successo a puntare sul catenaccio fu Nereo Rocco. Epigono di questo sistema di gioco fu Gianni
Brera, forse il più grande giornalista sportivo italiano di tutti i tempi. Brera lo riteneva un modulo adatto ai calciatori italiani per motivi antropologici. A suo modo di vedere le cose, i calciatori italiani non avevano la struttura fisica per competere attraverso un gioco offensivo con le squadre di altri paesi. Al bando il gioco d’attacco dunque. Le compagini italiche dovevano affidarsi all’astuzia, all’intelligenza tattica, alla prudenza. Il catenaccio, e il contropiede conseguente, costituivano una sintesi di queste caratteristiche. Molti i successi ottenuti dagli italiani con questo dispositivo di gioco. La nazionale vinse un
europeo nel 1968. Disputò la finale mondiale nel 1970. Perdendola contro un Brasile stellare. In seguito vinse il
mondiale del 1982 in Spagna. Ma forse i maggiori successi furono ottenuti a livello di squadre di club.

Probabilmente il più grande gestore del catenaccio fu Helenio Herrera. Allenatore argentino dell’Inter di Moratti padre. Giocava con quattro marcatori. Dietro il libero. E davanti alla difesa un regista anche lui arretratissimo. La squadra giocava chiusa come un riccio. Anche per novanta minuti. Senza subire gol. All’improvviso poi Suarez, il grande regista di quella straordinaria squadra, ribaltava il gioco con un lancio di cinquanta metri. E come una catapulta i velocissimi contropiedisti
andavano in gol. Quella squadra sublime vinse tre scudetti, arrivò tre volte seconda, vinse due Coppe dei campioni e due Coppe intercontinentali.

Ma chi lo ha detto che quello non era un grande spettacolo? Indimenticabili le azioni fulminee combinate dal terzetto Suarez-Jair-Mazzola. Di bellezza irripetibile. Ma chi lo ha detto che il catenaccio necessariamente non produceva spettacolo? Forse sono più spettacolari alcune partite di oggi in cui una squadra che vince 3 a 0 continua ad attaccare compulsivamente? Lasciando campo libero agli avversari. E la partita magari poi termina 3 a 3. È chiaro che lo spettacolo lo fanno gli interpreti. E quelli della grande Inter o dell’Italia di Bearzot erano interpreti fenomenali. Così come è chiaro che il catenaccio di alcune provinciali annoiava e deprimeva gli spettatori. Ma se Casablanca invece che da Humphrey Bogart fosse stato interpretato da un pinco pallino qualunque avremmo avuto un grande film? E se invece di Pavarotti la Tosca la interpretasse un neomelodico di provincia, avremmo lo stesso effetto?

Oggi sono ovviamente cambiati tempi ed esigenze. I preparatori atletici mettono tutte le squadre sullo stesso piano dal punto di vista fisico. E, cosa determinante, la vittoria vale 3 punti. Così il catenaccio, che con frasario rozzo ma espressivo si fondava sul “primo non prenderle”, è andato giustamente in soffitta. Gattuso è un tattico più fine di quanto appaia, o gli piaccia apparire. Il resto devono farlo i calciatori.

ilnapolista © riproduzione riservata