ilNapolista

L’NBA si chiude per tre mesi con le famiglie a Disney World

Una lezione “industriale” allo sport mondiale. Si parte il 31 luglio. Organizzato un mostro logistico in Florida: 22 squadre, 35 persone a team

L’NBA si chiude per tre mesi con le famiglie a Disney World

L’NBA riparte il 31 luglio, si sapeva, ora è anche ufficiale. Lo farà mettendo in piedi un mostro organizzativo, da vera “grande industria”, altro che le chiacchiere del calcio: tutte chiusi in una “bolla” al Walt Disney World Resort di Orlando, in Florida, per tre mesi. Giocatori e staff, allenamenti e partite, fino a quando la stagione non sarà portata a termine. Il piano non è ancora del tutto definitivo, perché per essere applicato dovrà essere accompagnato da un protocollo sanitario, da stilare con la National Basketball Players Association, il sindacato dei giocatori. In particolare, si deve ancora decidere come si procederà se un giocatore risulterà positivo al coronavirus.

ESPN spiega in un lungo pezzo come funzionerà questo riavvio del circo più produttivo dello sport mondiale. Un progetto enorme, una lezione magistrale di logistica.

La prima difficoltà riguarda i trasferimenti. I giocatori devono tornare nella città della propria squadra dai posti in cui hanno passato gli ultimi tre mesi, con tutte le complicazioni legate ai protocolli sanitari per chi si sposta tra stati e paesi diversi. Quando si trasferiranno a Orlando a luglio, poi, dovranno probabilmente essere soggetti a una quarantena di due settimane, secondo le attuali norme federali.

Una prima parte di allenamento inizierà il 30 giugno e durerà una settimana. Tutte le squadre voleranno a Orlando il 7 luglio, tre settimane prima del riavvio della stagione. I rappresentanti sindacali di tutte le 22 squadre si incontreranno oggi per votare la proposta. La loro approvazione è tutt’altro che una formalità, ma il commissario NBA Adam Silver ha coinvolto i giocatori sin dall’inizio ed è fiducioso.

ESPN dice che la lega utilizzerà inizialmente tre diverse strutture per le partite: l’Arena, l’HP Field House e il Visa Athletic Center, tutti presso il Wide World of Sports Complex. Man mano che la competizione andrà avanti se ne useranno due e poi uno. Ci saranno quattro ore tra una partita e l’altra in ogni singolo campo, per procedere con pulizie e warm-up.

C’è poi il capitolo tamponi. L’NBA prevede di effettuare test giornalieri e per tutti coloro che si trovano all’interno della “bolla”. Gli epidemiologi hanno affermato che questo è ciò che l’NBA deve fare per garantire la situazione più sicura possibile per tutti i soggetti coinvolti. Non è chiaro ancora quale tipo di test sarà usato. Il sindacato dei giocatori ha già detto che preferirebbe un metodo di analisi diverso dal tampone nasale, considerato invasivo e scomodo. Ci saranno anche ulteriori livelli di protezione in atto, come il distanziamento sociale, i controlli della temperatura, l’uso delle maschere quando appropriato e la sanificazione.

Cosa succede se qualcuno risulta positivo? E’ il grande problema da risolvere. L’NBA dovrà disporre di un piano globale per trattare un giocatore, un allenatore o un membro dello staff che risulti positivo. Il campionato non si fermerà, e questo è un punto fermo. Si procederà con l’isolamento del positivo e il monitoraggio continuo del resto della squadra. Un focolaio all’interno di una squadra – con diversi giocatori o membri dello staff positivi – sarebbe più problematico da gestire e potrebbe forzare una rivalutazione del sistema.

Nelle 22 squadre che vanno a Orlando, molte hanno allenatori o membri dello staff che hanno 60 anni o più, tra cui Gregg Popovich (71), Mike D’Antoni (69), Alvin Gentry (65), Terry Stotts (62) e Rick Carlisle (60). Silver ha dichiarato che è possibile che “alcuni allenatori” non possano essere in panchina quando il gioco riprenderà, “per proteggerli”. Ma questa ipotesi è stata già scartata.

L’NBA dovrebbe consentire a 35 persone di ciascuna squadra di recarsi a Orlando. Saranno tutti “chiusi” in albergo, e non saranno ammessi all’interno quelli rimasti fuori dalla “bolla”. Ma ci sarà la possibilità di spostarsi e mangiare al ristorante all’aperto del complesso.

E con le famiglie, come si fa? La lega e il sindacato dei giocatori vorrebbero ammettere anche i familiari stretti all’interno della “bolla”. Ci sono ancora discussioni su come consentire loro di entrare man mano che la stagione va avanti. In tal caso, sarebbero soggetti a quarantena prima di entrare e testati regolarmente una volta all’interno.

I giocatori potrebbero dover lasciare la bolla per test medici (risonanza magnetica, ecc.) O per motivi personali potrebbero essere in grado di tornare a seconda delle linee guida del protocollo finale della lega.

ilnapolista © riproduzione riservata