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«La scuola non sarà quella di prima. Troppa autonomia crea iniquità»

La preside della scuola media Belvedere: “Faremo il possibile, ma servono certezze, fondi e una governance più precisa. Ci si continua a basare sulla buona volontà dei dirigenti. La didattica in presenza è insostituibile”

«La scuola non sarà quella di prima. Troppa autonomia crea iniquità»

Daniela Costa è la dirigente scolastica della Scuola Media Andrea Belvedere. E’ tra i firmatari del documento contenente i suggerimenti di oltre 200 presidi per la riapertura della scuola il prossimo anno.

Preside, qual è stata la modalità di raccolta delle firme?

«Sostanzialmente il passaparola. Abbiamo cominciato ciascuno nel nostro ambito, poi abbiamo ampliato alle rispettive conoscenze, anche fuori regione. Abbiamo creato un gruppo WhatsApp in cui, man mano, si aggiungevano colleghi che aderivano all’iniziativa. C’è stato un lavoro collettivo di proposta e condivisione».

Nel documento chiedete delle linee guida univoche per tutto il Paese, altrimenti la scuola non potrà riaprire. E se non arriveranno?

«Faremo quello che possiamo. Così come ci siamo attrezzati, da un giorno all’altro per mettere su la didattica a distanza. In un momento di emergenza terribile e improvvisa abbiamo formato docenti alla soglia della pensione, ci siamo stati. Il problema è che adesso c’è un po’ di tempo, anche se minimo. Vorremmo essere un po’ più organizzati in vista di settembre. Se dovremo mantenere il distanziamento, occorrono misure di sicurezza condivise, abbiamo bisogno di più spazi e di altro personale. Faremo quello che possiamo al meglio, ma non sarà una scuola innovativa. Non sarà una scuola migliore di quella che abbiamo lasciato. Per noi è importante informare le famiglie di questo: senza una serie di indicazioni e misure condivise non potremo avere la stessa scuola di prima».

Lavorare in emergenza deve essere stato un peso enorme sulle spalle dei dirigenti scolastici.

«La nostra responsabilità è quella di pensare alla formazione dei ragazzi. Dobbiamo esserci. La scuola ha risposto bene, abbiamo avuto mezzi in più, certo, ma è chiaro che molto è stato fatto utilizzando le risorse interne. Abbiamo dato fondo a tutto quello che potevamo, in termini di risorse umane ed economiche. I docenti sono stati disponibili a mettersi in gioco, abbiamo utilizzato i computer che già avevamo, ce l’abbiamo messa tutta. Per i ragazzi il prezzo è stato alto, ma ci hanno seguiti. Sono stati loro ad aiutare gli adulti a superare il momento di difficoltà. Hanno dato agli adulti la motivazione e il coraggio necessari, ma non è possibile pensare di continuare in modo approssimativo. Nei giorni di chiusura della scuola abbiamo approfittato dell’assenza fisica degli studenti per cercare di sopperire ad alcune mancanze. Abbiamo fatto delle migliorie agli spazi, acquistato altri monitor per migliorare la didattica, tutte cose già previste. Ci saremmo aspettati la stessa cosa dai Comuni. Si sarebbe potuto mettere mano ai bagni inservibili, alle uscite di sicurezza, che mille volte abbiamo chiesto di sistemare e invece restano ancora lì. Adesso si dovrebbe provvedere a tutto questo».

Avete ricevuto qualche risposta dopo l’invio del documento?

«Nessuna risposta per ora, anche se crediamo che non siamo i soli ad aver sollevato determinate questioni. Anche le associazioni di genitori si sono mobilitate. Siamo un po’ tutti preoccupati. I dirigenti sono solo un po’ più al centro, perché devono prendere delle decisioni, agire, ogni volta che c’è una difficoltà, e organizzare di conseguenza. Questo viene fatto con senso del dovere e della responsabilità. Adesso però ci rendiamo conto che è un po’ troppo, ci vorrebbe una governance più decisa, non si può fare solo appello all’autonomia. Delegare all’autonomia crea sperequazioni e iniquità».

La vostra è una critica al governo?

«Assolutamente no. Non siamo in opposizione al governo, sappiamo molto bene che sono stati fatti sforzi, erogati fondi. Li utilizzeremo per arredi nuovi, per dispositivi di sicurezza. Il governo ha fatto degli sforzi, ma non possiamo pensare che lo sforzo finisca qui. Stiamo parlando della formazione delle generazioni future. Si continua a basarsi sulla buona volontà delle persone».

Nei giorni dell’emergenza vi siete sentiti soli?

«Oltre ai ragazzi il conforto è venuto dal confronto che si è creato tra colleghi. Adesso vorremmo delle anche delle risposte più concrete. Sono certa che ne verremo fuori, in qualche modo, ma abbiamo bisogno di qualche certezza in più. Sono tutto sommato ottimista. Siamo riusciti a essere collegati in tanti in un’idea comune di scuola. Ma la scuola vera è quella in presenza, che crea relazioni. Ci siamo stati, anche se a distanza, i ragazzi hanno risposto benissimo, grazie al fatto che c’era già una relazione con i professori. La tecnologia ci è servita, ne abbiamo rivalutato il buon uso, abbiamo acquisito un’esperienza importante. Ma la didattica in presenza è insostituibile. E’ quello che vorremmo tornare ad avere, in sicurezza».

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