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Trent’anni fa il varo del Moro di Venezia (che parlava napoletano)

Nell’equipaggio c’erano tre napoletani: Borgstrom, Landolfi e Tizzano che ricorda: «Mi contattarono Cayard e Gardini che era avanti a tutti di almeno trent’anni»

Trent’anni fa il varo del Moro di Venezia (che parlava napoletano)

Questa, per fortuna, non passerà alla storia del mondo solo per la funesta stagione della pandemia. E, soprattutto, non verrà archiviata solo con un lungo elenco di morti da Covid-19 nello scenario spettrale delle città negate, come mai era successo, agli abitanti tappati in casa. A consolarci, almeno in parte, questo anno bisesto e funesto verrà ricordato anche per due ricorrenze trentennali entrambe da incorniciare: il secondo scudetto del Napoli di Diego Armando Maradona e di Corrado Ferlaino che abbiamo appena virtualmente celebrato e il varo del Moro di Venezia passato in sordina (una video conferenza virtuale del team organizzata dalla Compagnia della Vela) che iniziò la sua fantastica traversata dal cantiere Tencara di Porto Marghera di proprietà della Montedison main sponsor della sfida per espresso volere del “re” della chimica Raul Gardini che fece a tempo a godersi i successi della sua creatura miliardaria prima di finire nei gorghi di Tangentopoli e di morire suicida a Milano il 23 luglio del 1993, un anno dopo il tramonto del sogno americano.

Il “Moro” indubbiamente è un brand esclusivamente lombardo-venet ma, come spesso accade nelle vicende non solo sportive, si avvalse della presenza fondamentale dell’intelligenza meridionale.

A questo punto il lettore è legittimato a chiedersi che cosa di napoletano ci sia nell’impresa del team del Moro che conquistò il diritto a giocarsi l’America’s Cup – quella vera non l’edizione pezzottata ospitata qualche tempo dopo nel Golfo tra l’indifferenza del pubblico che aveva annusato il pasticcio – detenuta da “America cube” del miliardario Bill Koch. Anche Gardini, per la verità, non badò a spese: il budget per il varo ammontò a cento miliardi di lirette, ma nei due anni che precedettero la finale la somma aumentò in modo esponenziale. Il conto finale non è mai stato fatto: c’è chi dice 400 (miliardi), chi meno: probabilmente anche questa volta la verità sta nel mezzo.

Perché Napoli, allora: ecco svelato il piccolo mistero. Nello squadrone velico messo insieme da Gardini e dal timoniere Paul Cayard – molto popolare nell’ambiente dei club nautici sul lungomare, almeno negli anni in cui la vela era il clou della mondanità cittadina – tre velisti partenopei giocarono un ruolo fondamentale: un “Moro” mezzo napoletano era un ibrido, ma funzionò ala grande. Il più quotato dei tre,  nonostante avesse appena ventidue anni, si rivelò un ragazzone dell’Arenaccia, autentico talento del canottaggio all time: Davide Tizzano mondiale junior a 18 anni e oro olimpico a Seul ’88 dove aveva trionfato nel “4 di coppia” con Agostino Abbagnale – il terzo fratellone di Castellammare con il quale poi vinse anche realizzando una performance unica nell’albo di Olimpia – Piero Poli, attuale primario ortopedico dell’ospedale di Lecco, e Gianluca Farina, oggi allenatore della Canottieri Eridanea.  Non meno positivo fu il rendimento degli altri due marinai di Santa Lucia iscritti all’anagrafe nobile della vela mondiale, Lars Borgstrom, napoletanissimo nonostante il cognome tenti di accreditare una origine scandinava, e Vittorio Landolfi prezioso a bordo per la sua duttilità tattica.

Tizzano, canottiere per amore e velista per curiosità, venne contattato direttamente da Gardini e Cayard: “Gli servivo non per quel poco di vela che avevo appreso facendo la corte ad una ragazza, ma perché avrei potuto migliorare la potenza muscolare dei velisti, ricorda oggi Davide che a 14 anni venne scelto dalla Federazione per frequentare il college di Piediluco insieme ai titolari della nazionale maggiore. «Allenati con loro, mi dissero i due leader del “Moro” e battili nella corsa, nei pesi e nella tenuta atletica. Lo feci senza urtare la suscettibilità dei miei nuovi compagni anzi con loro entrai in forte sintoni».

Una esperienza indimenticabile.

«Proprio così, due anni straordinariamente intensi. Dopo aver sconfitto i kiwi di New Zeeland, vincendo la Luis Vuitton Cup, stavamo facendo lo stesso scherzetto agli americani… Ci fosse riuscito il colpo, sarebbe stato fantastico. M a non mi lamento, nella mia cultura agonistica la sconfitta serve a preparare la vittoria”.

Gardini, però, non la pensava allo stesso modo.

“Voglio parlare soltanto dell’uomo. Con lui ho auto un rapporto straordinario, mi affascinava la sua straordinaria visione strategica, era avanti a tutti almeno di trent’anni. Non ha mai fatto pesare la sua autorità e il suo ruolo, le regate le seguiva a bordo, in giacca e cravatta, e al termine, chiedeva sottovoce a Cayard il permesso di timonare fino al porto la sua barca”. Di lì a poco, però, le cose sono precipitate e la favola è diventata tragedia, ma questa è un’altra storia.

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