ilNapolista

La partita politica che si sta giocando sul ritorno del calcio

Il comitato tecnico scientifico ha messo molti paletti ma il governo conosce la dimensione industriale e sociale del calcio. Servono rinunce per raggiungere l’obiettivo

La partita politica che si sta giocando sul ritorno del calcio
(foto Hermann)

Poveri noi, tifosi incalliti, in crisi prolungata di astinenza. Il coronavirus riesce persino a dividere la grande comunità di tifosi in due schieramenti, grosso modo. Quelli che vorrebbero una sospensione a tempo indeterminato del campionato, in attesa che si possano riempire, in sicurezza, gli spalti e che negli stadi rimbombino applausi, urla, slogan, canti, cori, mortaretti.
E come dargli torto? Diciamocelo chiaramente. In questi ultimi anni ci ha assalito la nostalgia del ricordo di quegli spalti gremiti e noi tutti stretti come sardine. Da quanti anni facciamo i conti con gli spazi vuoti? Quasi una premonizione, per farci abituare a essere automi, fantasmi di un’altra vita. Tifosi spenti, senza più anima.

E poi c’è chi, per porre fine a questa astinenza accetterebbe qualunque cosa, come gli stadi chiusi al pubblico.
Io sono tra questi, per il semplice motivo che mi sforzo di guardare dietro l’angolo, faccio due conti e dico che se non riparte subito il campionato, il 40% dei giocatori rischiamo di ritrovarcelo pensionato. Perché anche il prossimo campionato non si potrà giocare. Ad essere ottimisti, ma molto ottimisti, forse a gennaio, febbraio prossimo potremmo avere il vaccino. Ma poi dobbiamo aspettare che venga somministrato al mondo. E quanto tempo dobbiamo aspettare?

C’è anche da prendere in considerazione la possibilità che la ricerca di farmaci antivirali, non di vaccini, faccia passi da gigante in queste settimane. Ma anche in questo caso il distanziamento sociale e la mascherina saranno la nostra stella polare per non contagiarci.

Così stanno le cose, non giriamoci attorno. Io vedo uno spiraglio e sono ottimista. Perché esponenti di governo hanno lavorato per la ripresa del campionato, perché il Comitato tecnico-scientifico ha piantato molte bandierine affermando anche che il suo parere «non è ostativo».

Insomma sia i tecnici che i politici riconoscono la dimensione sociale del calcio. È una industria che produce ricchezza e lavoro, dall’informazione (pubblicistica specializzata, quotidiani e televisioni) al mondo della pubblicità, delle scommesse, dai giocatori ai magazzinieri, ai ristoratori.

Dunque, la partita che si sta giocando in queste ore è un po’ questa: quanti portatori di privilegi sono disposti a sacrificare qualcosa? Quanti giovani ventenni sono disposti a diventare figli di una famiglia protetta, che assume la quarantena come un modello di vita? A leggere le reazioni delle diverse corporazioni, dai medici ai giocatori, ci sono molti mal di pancia. Spetta al presidente del Consiglio Giuseppe Conte farli passare. E io ho fiducia in Giuseppi.

ilnapolista © riproduzione riservata