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Gino Cappello: il Cruyff italiano che durante le partite si fermava per guardare gli aerei

Sul Giornale. A lui Pozzo diede la 10 dell’Italia dopo Valentino Mazzola. Fece sempre scelte sbagliate, era incline all’illecito sportivo

Gino Cappello: il Cruyff italiano che durante le partite si fermava per guardare gli aerei

Sul Giornale la storia Gino Cappello un calciatore pressoché sconosciuto ai più, ma che secondo Sandro Ciotti era “il miglior calciatore italiano di tutti i tempi, almeno dal punto squisitamente tecnico”, quasi come Cruijff.

Cappello nasce a Padova nel 1920. Il quotidiano lo definisce

un talento incompiuto che è sempre capitato anche nel posto sbagliato nel momento sbagliato“.

Infatti, nel 1940 passa dal Padova di serie B al Milan nel momento in cui i rossoneri non emergono e il Bologna vince due campionati in tre stagioni. E proprio nel momento in cui il Milan torna a mietere scudetti lui passa al Bologna quasi come fosse uno scherzo del destino.

Dopo tre campionati in rossonero con 29 gol non si era ancora capito se Cappello fosse più una mezzala o un centravanti. La sua caratteristica principale era la lunaticità.

““Capeo”, come lo chiamavano con inflessione veneta, era capace di risolvere una partita da solo con giocate fantastiche, come di assentarsi completamente dal gioco, secondo l’umore con cui si era alzato dal letto“.

Il quotidiano racconta un episodio emblematico. Un giorno Cappello si fermò improvvisamente a metà campo a guardare un aereo che passava. Si racconta che, per svegliarlo, gli gridarono:

«Guarda che la guerra è finita…».

Dopo la tragedia di Superga, quando Pozzo si trova a dover ricostruire la Nazionale per giocare contro l’Austria, tocca proprio a Cappello indossare la maglia numero 10 che era stata di Valentino Mazzola. Un onore rispettato segnando il primo gol della vittoria per 3-1.

“Non solo ma, pur avendo debuttato in Nazionale a 29 anni e avendo giocato solo 11 volte in azzurro, Cappello partecipa a due Mondiali vestendo la maglia numero 10 in entrambi: in Brasile contro il Paraguay, dopo aver esordito con il 9 contro la Svezia, mentre a Svizzera ’54, quando per la prima volta si gioca con la numerazione fissa da 1 a 22 ,è proprio Gino ad avere diritto alla maglia più affascinante, quel numero 10 che poi sarà di Sivori e Rivera, Baggio e Del Piero, Totti e Cassano. Cappello sarà l’unico, con Francesco Totti, ad averla indossata in due edizioni”.

A Bologna Cappello continua a giocare a corrente alternata, ma conquista ugualmente i tifosi. Fa impazzire i bolognesi e il presidente Dall’Ara per motivi non strettamente legati al calcio.

Nel 1948 si becca due mesi di squalifica perché viene sfiorato da un illecito sportivo legato a Bologna-Napoli. Nell’estate del 1952 partecipa al Palio calcistico petroniano, torneo dei quartieri bolognesi, difendendo la maglia del Bar Otello ma alla fine di una partita del torneo aggredisce l’arbitro Palmieri e viene denunciato e radiato dalla Federcalcio. Ma Palmieri poi ritratta a metà e Cappello viene riabilitato.

Torna a giocare nel Bologna e in Nazionale e chiude la carriera in B con il Novara. Poi, vive una breve avventura da dirigente.

Rapidissima anche perché Cappello cade nuovamente in una tentata corruzione e viene radiato per la seconda volta. E si ritira a gestire una tabaccheria in centro a Bologna, ripensando magari a quello che sarebbe potuto essere e non è stato”.

Perché nel 1950, dopo una doppietta segnata all’Inghilterra con la Nazionale B, sarebbe potuto andare al Leicester ma preferì restare a Bologna

“per far crescere Pascutti e Pivatelli, dopo aver giocato con leggende come Meazza e Piola”.

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