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Libero: Agnelli scivola su una buccia di banana. Il calcio dei ricchi per i ricchi non convince  

L’Europa del calcio va verso il no ai peones, che non prevede favole come l’Atalanta e il Leicester. Ma da noi sarebbe veramente auspicabile il modello statunitense? Non si vince così la Champions

“Il chiodo fisso di Andrea Agnelli si chiama Superlega, anche in tempo di Coronavirus il presidente della Juve guarda avanti, troppo e non si accorge mettere i piedi su una buccia di banana”.

Lo scrive Tommaso Lorenzini su Libero, richiamando le parole del presidente della Juve, ieri, da Londra.

Non solo ha manifestato il suo appoggio a Zhang, che qualche giorno fa, su Instagram, aveva sbottato duramente contro il presidente della Lega Serie A, Dal Pino. Ma, soprattutto, tira di nuovo in ballo la Super Lega con le sue dichiarazioni sull’Atalanta.

Sarebbe sbagliato rispondere ad Agnelli ricordandogli che in 34 partecipazioni alla Champions la Juve è arrivata a 9 finali e ne ha vinte solo 2.

“Piuttosto, seguendo il teorema, dovremmo forse varare la Brexit per il Manchester City, che ha vinto la miseria di una sola Coppa delle Coppe nel 1970? E il Psg? Una Coppa delle Coppe (1996) e una Coppa Intertoto (2001): da sotterrarsi. Tuttavia, due fra i club più ricchi del pianeta (quinto il Psg, con 635 milioni di euro di fatturato; sesto il City, con 610) avrebbero cittadinanza nel super football perché «il punto è come bilanciare quanto pesa il contributo al calcio europeo e quanto pesa la prestazione di un singolo anno», dice Agnelli”.

Il messaggio di Agnelli, numero uno della Eca, è chiaro. E svela la direzione in cui vorrebbe andare l’Europa del pallone.

“No ai peones. Quelli vanno bene per le competizioni nazionali, nelle quali, potenzialmente, le (poche) società dei ricchissimi avrebbero uno strapotere tale da trasformarle in “palestre” per i giovani o le seconde linee”.

Fino al 2021 non cambierà nulla, continua Lorenzini. Poi la Uefa ha pronto un piano per il triennio 2021-2024. Da quel momento in poi cala la nebbia. Non c’è accordo sui calendari internazionali e in questa situazione di incertezza

“c’è già qualcuno che sta lavorando senza prevedere i figli di un pallone minore”.

Le favole come l’Atalanta e il Leicester di Ranieri non sarebbero previste “nel calcio dei vippissimi”.

Ma da noi è veramente applicabile il modello statunitense? Lorenzini lo esclude.

“Nella Nba, o anche nella Nfl (il football), può verificarsi uno scenario del genere: la squadra “X” conquista il titolo, l’anno successivo fa di tutto per vincere meno partite possibile per sfruttare le norme che le permettono di riorganizzarsi economicamente, smantellando la rosa e venendo così sorteggiata per pescare le migliori scelte al mercato dei talenti esordienti (il Draft). La SuperLeague potrebbe prevedere tutto questo: ma siamo sicuri che una lega chiusa farebbe bene al pallone? E siamo sicuri che alla finalissima i biglietti dal costo medio fra i 4 e i 7mila dollari (dati dell’ultimo Superbowl di Miami) andrebbero a ruba? Il calcio dei ricchi per i ricchi non ci convince”.

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