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La lezione di solidarietà di Insigne e dei giocatori del Napoli

“Presidente, mi scusi, cosa devo fare per dare una mano al Cotugno”? Nell’emergenza il calcio riesce a dare un’immagine di quella cui siamo abituati

La lezione di solidarietà di Insigne e dei giocatori del Napoli

“Presidente, mi scusi, cosa devo fare per dare una mano al Cotugno”?

Con queste parole, pronunciate tra l’altro in tono dimesso e al riparo dai social, Lorenzo Insigne si è rivolto nei giorni scorsi al Governatore Vincenzo De Luca chiedendogli di aderire alla raccolta di fondi in favore dell’ospedale che cura i pazienti colpiti dal virus che (ancora per poco) è più veloce della scienza e non si lascia “afferrare”. Il bel gesto del capitano azzurro e, soprattutto, la discrezione che ha accompagnato l’intervento, induce alcune riflessioni. E restituisce al campione la credibilità che alcune reazioni fuori tono avevano messo in discussione. Ora, conoscendolo meglio, è possibile azzardare che, forse, erano più che altro frutto di insicurezza e, di conseguenza, non dovevano pesare più di tanto nel giudizio della persona.

La prima considerazione, dunque, è che il calcio al tempo del virus sta diffondendo una immagine di sé che per una volta contraddice – non annulla del tutto e questo, forse, più per responsabilità dei dirigenti e di uno scellerato contesto social che dei giocatori – quella radicata, banale e sciatta, alla quale siamo abituati. Attraversiamo un momento difficile, forse il più gravoso dal dopoguerra ad oggi colera compreso, e, naturalmente, l’esempio singolo passa in secondo ordine rispetto alla risposta corale virtuosa e irreprensibile che l’Italia sta offrendo – alla faccia della Francia di Macron, verrebbe da dire, anzi lo diciamo – ma sottolineare questo fenomeno che ricolloca l’atleta su una diversa scala di valori civici è doveroso e ci auguriamo che possa preludere ad una revisione della “voce” del dizionario. Perché, tranne eccezioni sempre più isolate, il calciatore è un professionista consapevole dell’importanza del ruolo che svolge anche fuori del campo e partecipa al travaglio del Paese che lo ospita e sente come suo. È un modo diverso di fare gol, ma al tifoso piace di più.

Seconda considerazione indotta dalla soddisfazione che si prova nel constatare che a dare il buon esempio sia il nostro Paese, così come è avvenuto per la inflessibile gabbia con la quale hanno messo in quarantena città, abitanti e attività commerciali, è motivo di orgoglio. È appagante poter dire che la solidarietà esercitata a riflettori spenti ha “contagiato” il mondo del calcio; pochi lo credevano ma dobbiamo ricrederci e lo facciamo volentieri: In questi giorni di crisi sanitaria e di possibile carestia economica è stata tracciata una linea di confine tra la vecchia e la nuova repubblica del pallone che manda definitivamente in pensione l’immagine del calciatore mamma sono contento di essere arrivato prima: al tempo del virus Lorenzo Insigne dialoga con il presidente della Giunta regionale e tratta con l’apparato tempi e modalità della sua donazione al Cotugno. E non è il solo: Mertens, Koulibaly, Mario Rui fanno lo stesso e da Ferrara il bomber Petagna, che l’anno prossimo sarà loro compagno di squadra, non è da meno e dichiara: “Visto che guadagno tanti soldi solo perché so calciare bene un pallone, è giusto che dia una mano a chi è in difficoltà”. E’ un bel giorno, insomma, e allora festeggiamolo con un calcione bene assestato che faccia sprofondare all’inferno il pallone maledetto del virus.

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