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“Che vita meravigliosa”
, l’analisi del linguaggio di Diodato

Parla di amore senza mai cadere in sdolcinature. Vento, sguardo, silenzio, senso e “anche se” le parole più frequenti del vincitore di Sanremo

“Che vita meravigliosa”
, l’analisi del linguaggio di Diodato

Antonio Diodato è un pugliese nato nell’Aosta di Manzini e quest’anno ha vinto il Festival di Sanremo con il singolo “Fai rumore” canzone che pur essendo positivamente sanremese non diminuisce le capacità musicali e da paroliere dell’artista. Nelle interviste è impacciato – come tutti gli intellettuali – ma sul palco e soprattutto nella creazione di orditi di parole musicali colpisce per freschezza e rispetto della tradizione. Forse perché ha come faro De André: la sua cover rock di “Amore che vieni, amore che va” è un gioiello con quella chitarra elettronica che inizia e la batteria che le va dietro contenta. Ci sono autori che reggono un tempo musicale: Diodato è l’autore di questi tempi che arriva alle orecchie, alle anime, ai cuori di un largo spettro di persone diversissime. In quest’articolo puramente sensoriale cercheremo di spiegarne le ragioni.

Diodato è figlio del soul più puro ma l’età spesso lo costringe ad evasioni rock: ma non è solo il registro musicale o vocale – vero vocalist – che lo contrassegna, ma un rispetto per la parola adattata alla musica, in un’ininterrotta ricerca di senso. Gli artisti nati nei primi anni del 1980 sono anche come generazione alla ricerca di un’identità di vita loro propria che li distanzi dai baby boomers e ponga un limine con i millennials. Le sue canzoni sono improntate sull’amore: argomento sdrucciolevole e che – se non ben centrato – rischia di tangere il cloud del patetico. Ebbene l’autore non lo incontra mai ed evita sdolcinature: la sua ricerca dell’amore è metro per capire la vita e la società che gli gira intorno. Qualcuno potrebbe pensare che questa ricerca possa essere una fuga dalla società e dalla politica, ma spesso nelle vere canzoni d’amore c’è un grimaldello per fare sociologia utile.

Ma soffermiamoci sulle sue parole rivelatorie. Diodato usa spesso nelle sue canzoni la parola “vento”: chè poi è una concetto che piaceva molto a De André ed a tutti i poeti prima di lui. Il vento è un qualcosa che nessuno sa prevedere se non quando accade ed è un fenomeno fisico e spirituale che può essere più rivoluzionario di un moto del ’48. Altre considerazioni: Diodato ama molto l’espressione “anche se”: è un tratto della sua generazione. Se si parla con un under40 la sua visione della vita non è mai perentoria, ma sempre aperta ad alternative altre. Ciò provoca relativismo, ma anche grande capacità di reinventarsi.

Altra parola chiave per comprendere Diodato è “sguardo”: c’è nella sua bellissima “Mi si scioglie la bocca”, come in “Fiori immaginari”: la poetica dello sguardo è antica, ma gli sguardi di Diodato nell’amore, nella musica, sulla natura sono quelli della sua generazione a metà tra il “passato che distrugge ed il presente che uccide (“Di questa felicità”)”. Altra parola-chiave per meglio comprendere Diodato è “senso” da intendere non nel significato del “sapore di”, ma di ricerca di un ritmo nella vita di una generazione che nella strada è andata per trovarlo; soprattutto camminando su strade e in paesi diversi.

Altra parola chiave è “silenzio” che non ha una connotazione univoca: ma che è un tempo utile per trovare senso e ritmo ulteriore (“che non lo posso sopportare questo silenzio innaturale tra me e te”, Fai rumore). Si spiega qui il dato che in questa quarantena forzata le canzoni di Diodato siano le più ascoltate e linkate sui social. Ultima parola chiave è ‘mondo’ visto come un luogo in cui entrare o uscire a seconda dei silenzi e della mancanze di senso (“ho chiuso il mondo fuori e lascio entrare solo te”, Fiori immaginari). Ultima considerazione: per legare frasi e concetti Diodato usa il ‘che’: siamo passati dal Che al che, ma almeno viviamo in un mondo con i pronomi giusti: anche se relativi.

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