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Il segreto del Napoli di Gattuso: perde cinque partite su otto ed è osannato da tifosi e media

Ha preso una squadra al settimo posto e l’ha portata all’undicesimo nel tripudio generale. Incassa quasi due gol a partita, ha già superato le sconfitte di Ancelotti

Il segreto del Napoli di Gattuso: perde cinque partite su otto ed è osannato da tifosi e media

Se un marziano fosse sbarcato in settimana a Napoli, non avrebbe avuto dubbi: avrebbe pensato che con Gattuso in panchina, il Napoli avesse scalato posizioni su posizioni fino a raggiungere almeno il quarto posto con possibilità di inserirsi nella lotta scudetto. Perché a sentire i commenti dei tifosi sui social, ma anche quelli dei giornalisti in tv e sui quotidiani, era un profluvio di elogi al Napoli di Gattuso. Talmente eccessivi al punto da far apparire proprio l’allenatore calabrese come il più moderato. L’unico a rimanere con i piedi per terra. L’unico a dire anche prima della partita con la Sampdoria: «Non mi fido ancora della squadra, ho ancora negli occhi la sconfitta contro la Fiorentina». E anche oggi, dopo la sconfitta con il Lecce, il più lucido è stato il tecnico del Napoli che ha denunciato la mancanza di cattiveria, quindi di grinta. Insomma, ci pare di poter dire che anche lui ha capito qual è il problema. Sottolineiamo questo perché siamo troppo avveduti per prendercela con Gattuso. Comprendiamo il comportamento del nostro allenatore: l’unica cosa che poteva fare era mettersi nelle mani della squadra, dei calciatori e anche del direttore sportivo Giuntoli che è la persona che probabilmente più di tutti ha voluto l’esonero di Carlo Ancelotti. (Oggi anche l’arbitro ci ha messo il suo, ma se facciamo l’elenco dei torti arbitrali subiti dal Napoli di Ancelotti facciamo notte).

Però non possiamo fare a meno di guardare in faccia la realtà. Quando è arrivato a Napoli, nella sua prima conferenza stampa, Gattuso ha parlato di classifica imbarazzante. In linea teorica potevamo essere anche d’accordo. Anche per noi questo Napoli è fortissimo, e lo era anche senza Demme, Lobotka e Politano. E con Meret in porta, s’intende (questa Gattuso ce la passerà).

Però i dati sono dati. I fatti sono fatti. Ancelotti è stato esonerato qualche ora dopo Napoli-Genk, qualche ora dopo la qualificazione in Champions, e pochi giorni dopo il pareggio a Udine. In campionato erano state giocate quindici giornate. Il Napoli – che con Ancelotti in campionato definiamo mediocre – era settimo a 21 punti, a otto punti dalla Champions. In quel momento, al quarto posto c’erano la Roma e il Cagliari con 29 punti. Poi l’Atalanta con 28. E quindi il Napoli con 21, a pari merito col Parma.

Dopo otto giornate, il Napoli di Gattuso è passato dal settimo all’undicesimo posto. Nel frattempo, ci hanno scavalcato Parma, Verona, Bologna, Milan. La Champions è passata da una distanza di otto punti a una di dodici: tanti ce ne sono oggi tra Atalanta e Napoli.

Con Gattuso in panchina, il Napoli ha perso cinque partite su otto: quattro al San Paolo. Per una media di 1,1 punti a partita che a fine campionato garantirebbero comunque i 42 punti sufficienti alla salvezza. La media del Napoli di Ancelotti era superiore ma non certo eccellente: 1,46 punti a partita. Il Napoli di Ancelotti in quindici partite ne ha perse quattro. Il Napoli di Gattuso ha subito gol in tutte le partite di campionato. Ha subito tre gol dall’Inter, tre gol dal Lecce, due dal Parma, dalla Sampdoria, dalla Fiorentina, uno da Sassuolo, Lazio e Juventus. In otto partite il Napoli di Gattuso ha segnato undici reti e ne ha subite quindici. Quasi due gol a partita.

A fronte di questi dati, la domanda sorge spontanea: in base a quale criterio in queste settimane abbiamo assistito a continui elogi del lavoro di Gattuso? In base a cosa? Anche dopo le due vittorie consecutive in campionato – Juventus e Sampdoria – il Napoli non ha mai migliorato il settimo posto del giorno dell’esonero di A. Peraltro lo stesso Gattuso che – ripetiamo – è per distacco il più intelligente dei suoi, spesso e volentieri ha abbandonato il nostalgico 4-3-3: la parola d’ordine con cui è stato chiamato a Napoli. Lo ha fatto a Genova dopo il 2-2 della Sampdoria, lo ha fatto oggi al termine del primo tempo che si è chiuso con il Lecce  avanti di un gol. In entrambi i casi è passato al 4-4-2, e non al 4-2-3-1 cui si sono aggrappati i quotidiani che strenuamente pompano il lavoro del nuovo allenatore, le scelte della società, e magnificano la rinascita – o presunta tale – di Insigne e degli altri calciatori. Tutto per due vittorie in campionato e tre in generale se consideriamo il successo con la Lazio in Coppa Italia.

Ricapitolando: qui non ce la stiamo prendendo con Gattuso, non siamo così stolti. Ma contro un ambiente – tifosi e media – che non vedeva l’ora di gridare che il problema era Ancelotti. Un ambiente che col Napoli decimo in classifica ha cominciato a elogiare Gattuso come se avessimo vinto la Champions, come se finalmente Napoli si fosse liberata ddi un incapace. La verità – amara – è che Napoli non riesce a digerire che possano esistere persone che nella loro vita hanno vinto. Le guarda con diffidenza. Malcelata antipatia. A Napoli considerano Ancelotti un incapace, un incompetente, uno che è venuto a prendersi la pensione. Non solo, ma ogni sconfitta del Napoli viene attribuita ancora a lui – è tutto vero – mentre le vittorie rivelano quale incredibile errore sarebbe stato affidargli la squadra. È tutto tremendamente triste, la dice lunga sulla fine della speranza in questa città, ma è proprio così. In fin dei conti a Napoli si considerano più competenti di qualsiasi altro, per il solo fatto di essere nati e cresciuti a Napoli. Presto, molto presto, se ne accorgerà lo stesso Gattuso.

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