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«Autostrade ci chiamò per sapere quanto costava sostituire i sensori del Morandi. Non se ne fece nulla»

Al Corriere della Sera parla l’amministratore della ditta che installò il sistema di sicurezza che nel 2015 andò fuori uso. Il costo per la riparazione era di 10mila euro. Avrebbe fornito dati sulle cause del crollo

«Autostrade ci chiamò per sapere quanto costava sostituire i sensori del Morandi. Non se ne fece nulla»

Sul Corriere della Sera le dichiarazioni di Alessandro Paravicini. E’ l’amministratore della società romana Tecno.el, che sistemò sul Ponte Morandi i famosi sensori che avrebbero dovuto prevenire rischi di stabilità. Sensori che, però, danneggiati nel 2015, non furono mai sostituiti. Oggi è un testimone nell’indagine sul crollo.

«Andò così: nel 2015 si erano rotti i cavi delle fibre ottiche che collegavano i sensori al sistema di monitoraggio del ponte Morandi. L’avevamo installato noi, il sistema, e quindi Autostrade ci ha contattato per capire quanto costasse ripristinarli. Abbiamo fatto un prezzo ma tutto è finito lì».

Nessuna riparazione, dunque, nonostante il prezzo non fosse esoso.

«Una cosa contenuta, mi pare diecimila euro».

Paravicini esclude, tuttavia, che Autostrade non abbia riparato i sensori per un problema di costo.

«Non penso proprio che il motivo della rinuncia fosse di natura economica. Forse avevano pensato di far rientrare la spesa nell’intervento più complessivo e strutturale di retrofitting che era stato programmato e che purtroppo non hanno realizzato. Come quando c’è una lavatrice che traballa e non si cambia il pezzo ma si attende di sostituirla interamente».

Se i sensori fossero stati funzionanti, si sarebbe potuto evitare il crollo?

«È difficile che il ponte si potesse salvare grazie ai sensori. Si tratta di una struttura isostatica, nella quale l’equilibrio delle forze è particolare.  Se una di queste viene a diminuire, il processo di accelerazione del crollo diventa molto veloce e quasi inevitabile. In questi casi i sensori che segnalano il movimento strutturale servono a poco perché i tempi di reazione sono troppo lunghi».

Da quando i sensori lanciano l’allarme a quando si decide se chiudere il ponte, infatti, spiega, possono passare anche quattro giorni.

I sensori servono a rilevare gli spostamenti nel tempo. Se il cedimento fosse iniziato tempo prima, allora il sistema sarebbe servito, anche perché, racconta, i sensori erano presenti sia sulla pila 9, crollata, che sulle 10 e 11. Erano tutti collegati.

«Ma da quel che è emerso finora mi sembra si tratti di un’ipotesi improbabile. In ogni caso, se era attivo avrebbe potuto dare almeno delle informazioni sulle cause del crollo, agevolando il compito degli inquirenti che le stanno ancora cercando. Il sistema ci avrebbe cioè raccontato se un’ora prima del cedimento era successo qualcosa. Così invece non abbiamo dati».

 

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