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Stati Uniti, lo scandalo degli abusi sessuali sui bambini migranti strappati ai genitori

Inchiesta della CBS sulla sorte dei piccoli divisi con la forza della legge di Trump. Don Winslow: “La storia più orripilante degli ultimi 3 anni”

Stati Uniti, lo scandalo degli abusi sessuali sui bambini migranti strappati ai genitori

Il 2020, anno in cui gran parte del dibattito internazionale sugli Stati Uniti si ferma alle elezioni Presidenziali, comincia con una storia che lo scrittore Don Winslow definisce come LA (le maiuscole sono le sue) “più orripilante e non-raccontata degli ultimi tre anni”, e la riassume per tre punti: “bambini rapiti dalle braccia dei genitori; bambini rinchiusi in gabbie; bambini ripetutamente abusati sessualmente”.

Il contesto fa parte della storia, anzi è il motore dell’indignazione che scoppia sì, ma un po’ a fetecchia: tutto ciò avviene negli Stati Uniti d’America, la grande democrazia occidentale, quella che fino a qualche anno fa si prendeva anche l’onere di esportarla in giro per il mondo come fosse un brand tutto suo.

L’ultimo aggiornamento deriva da un’inchiesta di CBS News e di altri media americani, sui documenti del HHS – Department of Health and Human Services, il Ministero della Salute USA – resi pubblici dal membro della Camera Democratico Ted Deutch: in totale, tra ottobre 2014 e luglio 2018 (quindi siamo fermi a un anno e mezzo fa con la conta…) sono stati riportati 4.556 casi di abusi sessuali ai danni di minori immigrati “non accompagnati”.

La dicitura “non accompagnati” qui prende un’accezione burocratica, ma nel caso specifico vale più come “allontanati dai genitori e incarcerati”. Parliamo di bambini anche di 3 o 4 anni, che arrivati negli Stati Uniti con i genitori, vengono separati e trattenuti. I genitori spesso vengono espulsi e i bambini restano nelle “gabbie” americane, e in alcuni casi affidati a nuovi “genitori”. E’ il sistema messo in piedi dall’amministrazione Trump quando decise nel 2018 di smettere di aiutare i migranti che entravano illegalmente negli Stati Uniti con bambini, applicando invece una delle tante forme di “tolleranza zero” che portano voti un po’ ovunque nel mondo di questi tempi.

Prima della riforma chi entrava nel territorio USA illegalmente, per la prima volta, accompagnando un minore non subiva una separazione e veniva considerato come soggetto da perseguire penalmente con priorità. Le famiglie venivano perlopiù detenute insieme in centri speciali, in attesa del giudizio di un giudice speciale. Dal 2018 invece questi adulti finiscono davanti a un giudice federale, detenuti nel frattempo in una prigione federale in attesa che gli venga o meno contestata un’accusa penale. Per legge, i figli non possono essere incarcerati insieme ai genitori in queste prigioni, ed è per questo che vengono separati.

Ciò che ne è scaturito dopo è un film dell’orrore, “distopico” se non fosse che invece è realtà documentata. La foto che ritrae una bambina in lacrime a McAllen, in Texas, lungo il confine tra Stati Uniti e Messico, raccontata alla CNN da John Moore che l’ha scattata per l’agenzia Getty ne è diventata il simbolo. L’avete vista tutti, anche solo per caso.

Quel che tutti invece non sanno, perché l’amministrazione Trump ha tentato in tutti i modi di tenerlo sottotraccia, è che questo sistema era in realtà già in vigore prima dell’aprile 2018 (data dell’entrata in vigore ufficiale), ed ha continuato a funzionare anche dopo che un giudice federale ordinò di riunire le famiglie e porre fine alla pratica, annullata ufficialmente a giugno dallo stesso Trump. A novembre L’HHS aveva contato almeno altri 118 casi avvenuti dopo giugno. Secondo un rapporto del governo federale pubblicato dal New York Times nel gennaio 2019, le famiglie separate al confine con il Messico sono molte di più delle 2.737 contate. Il rapporto, anzi, conclude dicendo che il numero dei minori separati forzatamente “è sconosciuto”.

In questo contesto, arriva il punto 3 di Winslow. Il finale horror. Secondo la CBS “i documenti offrono un ritratto frammentato della situazione di abusi sessuali ai danni dei minori detenuti”. Basta fermarsi un attimo a ripensare all’ultima frase: abusi sessuali su minori detenuti. Negli USA, nel 2020.

I documenti non chiariscono chi siano i colpevoli degli abusi nella maggioranza dei casi, ma alcune cose sono certe: negli ultimi quattro anni in almeno 178 denunce riportate al Dipartimento di Giustizia, si parla di bambini reclusi nelle “prigioni” americane abusati da quelli che – con un certo senso dell’ironia lessicale – vengono definiti i “caregivers” delle strutture governative: “coloro che si prendono cura di”.

“La gravità qui è che si tratta di un sistematico occultamento di abusi sessuali ai danni bambini”, dice alla CBS il membro della Camera Democratico Lou Correa: “Un insabbiamento sistematico. Dovrebbe esserci trasparenza su fatti del genere per lavorarci e far funzionare meglio le cose. Se fai errori, cerchi di trovare una soluzione e vai avanti. Ma occultare una cosa come questa va oltre ogni immaginazione”.

La bussola dei media, non solo qui in Italia, va da tutt’altra parte: fa più notizia il buffetto del Papa. “La più orripilante storia poco-raccontata degli ultimi tre anni”, svelata ripetutamente e ripetutamente occultata dalla più grande democrazia del mondo, denunciata, come in questo caso, dai media mainstream, e rilanciata sui social da uno dei più prolifici autori di bestseller mondiali, resta incredibilmente un argomento collaterale.

Dovremmo cominciare a fare i conti con l’idea che bambini strappati ai genitori, abusati sessualmente mentre sono “legalmente” detenuti in strutture federali, anche a 4-5 anni, in un Paese come gli Stati Uniti, non siano una storia che rompe la struttura stessa del dibattito sociale in uno Stato democratico. Non fanno crollare un governo, non scatenano l’indignazione di massa. Semplicemente ci si abitua a tutto.

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