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Il Napoli deve farsi benedire

Woody Allen spiegò il momento degli azzurri: «Chi disse “preferisco avere fortuna che talento” percepì l’essenza della vita». Ma è solo sfortuna?

Il Napoli deve farsi benedire

Non c’è che l’imbarazzo della scelta: Padre Pio, Medjugorje, Lourdes o il vicino santuario di Pompei. Una delegazione per ognuno dei benedicenti, tanto per scongiurare che uno solo non si riveli sufficiente.

Siamo ormai nel soprannaturale se si è religiosi; in malevoli coincidenze se si è sospettosi; in giocate pedestri se si è un tecnico in servizio permanente effettivo, in semplice sfortuna se si ammette la terrorizzante “casualità” al tavolo delle argomentazioni razionali.

Woody Allen

A spiegare l’inspiegabile un monologo di Woody Allen all’inizio del film Match Point: «Chi disse “preferisco avere fortuna che talento” percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo».

Come dire che spesso la fortuna può rappresentare la linea di discrimine tra una vittoria e una sconfitta. Immaginiamo cosa accadrebbe al popolo dei commentatori, dei 4-4-2 o 4-3-3, delle quotazioni in borsa, dei digitalisti o dei satellitari una verità così sconvolgente: siamo stati sfortunati.

La sfortuna

Altrimenti, come facciamo a spiegarci il palo (l’ennesimo) di Zielinski, che manca la vittoria mentre un minuto dopo la cazzata di Ospina e l’autorete di Di Lorenzo la regalano alla Lazio?

Ne fa una dettagliata descrizione tennistica il nostro Woody:
“A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no e allora si perde”.

Semplice no? Ma questa spiegazione toglierebbe la parola ai competenti (tutti). Occorre spiegare, infatti, con schemi e analisi come è stato possibile perdere tre partite con quattro cavolate singole. Una alla volta si spiegano. Tutte no.

Le fesserie tutte insieme non si spiegano

Ha cominciato Koulibaly con una disgraziata autorete pro-Juve. Il giardiniere annaffia e Di Lorenzo scivola. In porta a segnare ci va libero da impegni quello sfasciacarrozze di Lukaku. Meret, chinato come se stesse prendendo un mazzo di fiori, si fa sfuggire il pallone e se lo lascia passare in mezzo alle gambe come alle comiche finali. Stessa azione a parti invertite. La palla gioca a nascondino con Handanovic, ma a differenza di Meret il portiere dell’Inter se la trova magicamente tra le mani. E tre. È la volta di Manolas che con la gioia del sirtaki aggiusta il pallone per il tap-in di Lautaro. E quattro (cazzate). Non poteva mancare la Lazio ai festeggiamenti. Protagonista l’esperto Ospina. Tenta un maldestro dribbling su Immobile, lo perde e condanna il Napoli alla sconfitta. Non dopo un’autorete di Di Lorenzo, che butta dentro il pallone da respingere. E cinque.

Le grandi? Il Napoli ha giocato meglio

Conclusione: primi tempi addomesticati e, al contrario dei giudizi viscerali, nei secondi prevale il Napoli (sì, prevale). La gettonata Lazio doveva fare sfracelli, ma non li ha fatti. Non li ha fatti nemmeno l’Inter nonostante l’ampio risultato a favore. Li ha fatti il Napoli, ma nella propria porta. Tutti insieme sono inspiegabili. O c’è dolo, calcolata svogliatezza in qualcuno, testa altrove e vertenza con la proprietà indigeribile. O, viste le prestazioni correttamente fornite, con vittorie che potevano essere conquistate, occorrerà appellarci al mistero rotondo del pallone. “Faciteve benedicere” si direbbe a Napoli.

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