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Dal Pino alla Lega è il 14 luglio del calcio italiano: Lotito, Adl e Percassi hanno fatto fuori la vecchia nobiltà

Così è nata la sconfitta dell’establishment: Agnelli, Cairo, Marotta, Scaroni. La borghesia vuol portare il calcio italiano dai palazzi al mercato

Dal Pino alla Lega è il 14 luglio del calcio italiano: Lotito, Adl e Percassi hanno fatto fuori la vecchia nobiltà

Il 14 luglio, ossia il giorno dell’inizio della Rivoluzione francese, è la metafora che meglio si addice a quel che è accaduto la scorsa settimana alla Lega Serie A. Perché chi vi racconta che la rivoluzione la fece il popolo, con la Presa della Bastiglia, vi racconta una bugia. La Rivoluzione francese segnò l’avvento di una nuova classe sociale: la borghesia. Che detronizzò la nobiltà (e il clero). Ed è successo proprio questo. Senza teste tagliate, senza il furore sanguinario. Non ci sono Robespierre né Saint-Just ma Lotito, De Laurentiis, Percassi e gli altri hanno messo in minoranza la nobiltà del calcio italiano. Su tutti Agnelli e Marotta – Juventus e Inter – con al fianco Urbano Cairo che è il signor Rcs e La7 ancor prima di essere presidente del Torino. E per rendere ancora più autentico il paragone col 1789, la borghesia ha portato in Lega un manager vero, non un uomo di gestione del potere qual era ed è Micciché e quali erano tanti che da decenni gestiscono lo sport italiano. Perché le società borghesi del calcio italiano, escluse dal potere vero, vogliono il business e vogliono fare del business il loro programma elettorale. Il calcio italiano deve diventare attrattivo sul mercato, in particolar modo – ma non solo – sul fronte dei diritti televisivi.

E Paolo Dal Pino (qui un ritratto del Foglio, di cui consigliamo la lettura), 57 anni, è un nome indiscutibile nel settore delle telecomunicazioni. Pur essendo molto attento e attivo sul fronte delle relazioni, la sua carriera è sempre stata basata sulla crescita e i profitti delle aziende in cui è stato chiamato. Ha fatto sì che venisse giudicato dai bilanci e proprio per questo ha attraversato Berlusconi, De Benedetti, Tronchetti Provera nel suo lungo percorso che lo ha portato dalla galassia Fininvest al gruppo Espresso – si inventò Kataweb – a Seat, a Telecom Brasile (è cittadino onorario di Rio de Janeiro), a Wind. Potreste trovarvi una sua e-mail alle due di notte, parla correntemente cinque lingue: italiano, inglese, francese, portoghese e fiammingo. Già un anno e mezzo era stato fatto il suo nome per la poltrona di presidente della Lega, ma Dal Pino non brigò, non gli serve un incarico tanto per. È juventino, innegabilmente, eppure Andrea Agnelli ha fatto di tutto per impedirne l’elezione.

Perché, la scorsa settimana, la nobiltà del calcio ha provato in ogni modo a evitare il giuramento della Pallacorda. Servivano undici voti – su venti – per eleggere il presidente. E Agnelli, Marotta e Cairo hanno portato avanti una sceneggiatura da raccontare nel tentativo di evitare il ribaltone. Agnelli e Marotta hanno portato avanti la tesi della mancanza di un programma da parte di Dal Pino. Programma che mai è stato presentato per la presidenza della Lega Calcio. Non è una campagna elettorale condotta in prima persona. Non è mai accaduto. Come ha ricordato loro Lotito. Una volta spalle al muro, con Abete pronto ad aprire la votazione, la triade Agnelli Marotta Cairo hanno chiesto quindici minuti di sospensione che sono poi diventati quaranta.

Sapevano di essere in minoranza. A questo punto sono cominciate due operazioni parallele. Una sul fronte Micciché, l’altra sul fronte interno. In questa pausa, club come Cagliari, Sassuolo, Fiorentina si sono allontanati dal fronte Lotito-De Laurentiis e con un vero colpo di teatro Cairo è riuscito a portare dalla sua anche Scaroni oggi presidente del Milan. Scaroni, per chi non lo sapesse, tra le altre cose anche ex presidente dell’Eni e dell’Enel. Perché al rientro in sala, Cairo ha preso la parola e ha annunciato quasi trionfante di essere riuscito a convincere Gaetano Micciché ad accettare nuovamente l’incarico in caso di rielezione. “Ne abbiamo parlato con Scaroni che è d’accordo con noi, vero Paolo?”

Il fronte è apparso chiaro. Vecchio establishment – perché il nodo di Micciché non era tanto l’irregolarità della sua elezioni, ma i tanti conflitti d’interesse che lo contraddistinguono: da Banca Imi a Rcs – contro la borghesia cui interessa modernizzare e rendere più produttiva l’industria calcio. E hanno vinto i borghesi. Il fronte Lotito, De Laurentiis, Percassi, con Preziosi, Cellino, la Roma e gli altri. Uno smacco per la nobiltà. Non è certo un caso c he il giorno dopo sui quotidiani Rcs ci fossero resoconto non certo simpatizzanti nei confronti di Dal Pino. Il Corriere della Sera adombrava dubbi sulla regolarità dell’elezione e sottolineava come avesse tutti top club contro e “metà dell’assemblea contro”. In realtà non metà assemblea, altrimenti non avrebbe ottenuto 12 voti su 20. Anche la Gazzetta titolava “Lega spaccata”, “Dal Pino eletto presidente ma col giallo. Il caso Ferrero: è inibito ma vota”. Nell’editoriale di commento, la Gazzetta scriveva:

«I voti non si pesano, si contano», è una frase cara a Claudio Lotito. Vero. Ma essere eletto in Lega con quelli contrari di Juve e Inter, le big prime in classifica, oltre al Torino di Cairo, Fiorentina o forse all’ultimo momento Milan, e altri club medi come Cagliari, Bologna e Sassuolo non è esattamente esaltante.

E si apriva e si chiudeva ricordano sul ghigno di sorriso che ha accompagnato l’elezione del manager.

In questo periodo sarà molto difficile leggere sui quotidiani Rcs profili elogiativi dell’uomo che dovrà sbrogliare la matassa dei diritti tv e far uscire il calcio italiano dai palazzi per portarlo sul mercato.

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