Intervistato da Aldo Cazzullo risponde alle accuse di razzismo per “Immigrato”: “Non si può dire più nulla. Se riproponessi certe imitazioni di dieci anni fa mi arresterebbero”

Il giorno in cui Umberto Bossi pubblicamente dichiara che “i meridionali vanno aiutati a casa loro altrimenti straripano come gli africani” a Checco Zalone tocca finire sui giornali a spiegare che “l’unica cosa atroce qui è la psicosi del politicamente corretto. C’è sempre qualche comunità, o qualche gruppo di interesse, che si offende”. “Non si può dire più nulla. Se riproponessi certe imitazioni di dieci anni fa, tipo quella di Giuliano dei Negramaro, mi arresterebbero. Oggi non potrei scherzare come facevo, che so, su Tiziano Ferro, o sugli uominisessuali”.
“Io non sono razzista neanche verso i salentini, che per noi baresi sono i veri terroni. E neppure con i foggiani, anche se molti di loro si sono risentiti per una canzone che ho cantato da Fiorello”. “Ne approfitto per chiedere scusa ai foggiani: lo giuro, non penso che appartengano a una razza inferiore… E chiedo scusa pure ai calabresi: nel nuovo film c’è una battuta terribile su Vibo Valentia”.
“Eh no! Questo è troppo! Qui mi arrabbio davvero”. “Sono del 1977. Ho votato per la prima volta nel 1996: Berlusconi secco. Perse. Per un po’ mi sono astenuto. L’ultima volta ho votato Renzi. E ha perso pure lui”.
Berlusconi. Che ha una volta…
“ad Arcore, a cena con lui, il figlio Piersilvio, il mio produttore Pietro Valsecchi, Giampaolo Letta e la mia compagna Mariangela. Era nata nostra figlia Gaia, e per festeggiare bevemmo solo vino di Gaja, il migliore del mondo. Alle dieci di sera Berlusconi si alza sospirando: “Scusate, ma devo andare a scrivere le memorie difensive del processo. Cosa mi tocca, a quasi ottant’anni…”. Un’ora dopo, completamente ubriaco, mi faccio accompagnare al bagno. Ma al ritorno mi perdo nei meandri della villa. Mi oriento ascoltando una voce familiare… entro in una stanza, e trovo Berlusconi con sette donne: la Pascale e le sue amiche. Tutte vestite”. “Mi indignai. Berlusconi con sette donne, tutte vestite!? E le tradizioni? I valori di una volta?”.
“I primi provini per scegliere il piccolo protagonista li ho fatti a Roma. Ma erano tutti bambini adottati, pariolini, borghesi: bravissimi, ma troppo romani per essere credibili. Così siamo andati a fare i provini in Kenya. Ho conosciuto ragazzini straordinari, ma non trovavo quello giusto. Fino a quando non ho visto questo bambino con gli occhi enormi, Nassor, che quando ride ride tutto, e mi sono detto: è lui”.
Cresciuto tra un nonno “fascitone”, una zia vice-questore, una mamma candidata nelle liste del PCI (“Prese 18 voti; ma i Capobianco a Capurso erano 36. Metà non la votò. Un fatto gravissimo”), un fratello steward, al quale “hanno offerto 40 mila euro per andare all’Isola dei Famosi come fratello di Checco Zalone. Mi ha telefonato: “Se me ne dai tu 45 mila, non vado”. Non è andato”, e un altro fratello attrezzista.
“Un periodo orribile. Piazzavo molta amuchina, che a Bari andava forte per paura del colera. E i cerotti per non russare, che però restarono invenduti”.
“Presi l’abitudine di esordire così: “Il concerto è dedicato ai reclusi della casa circondariale di Taranto, con augurio di presta libertà”. Al Nord scoppiavano a ridere. Al Sud scoppiava un applauso sincero: mi prendevano sul serio”.
E poi c’è lo sport, dove i razzismo in questo periodo va fortissimo:
“Giocavo nella Polisportiva Capurso. Che poi non si capiva come mai si chiamasse Polisportiva, visto che – giustamente – si faceva uno sport soltanto: il pallone. Giocavo centravanti, benino. Un giorno incontriamo il Bari. Noto questo bambino di sette anni, piccolo, brutto. Non ci fece toccare palla. Era Antonio Cassano. Ogni tanto ci sentiamo. Ha un senso dell’umorismo totale. Un pomeriggio mi chiama sul telefonino al mare. Sto facendo il bagno, e al mio posto risponde Gennaro Nunziante. “Ricchione!” comincia Cassano. E l’altro, paziente: “Non sono Checco, sono Gennaro Nunziante, il suo regista…”. “E si’ ricchione pure tu!””.