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Polański porta sullo schermo il vero cancro dell’antisemitismo

Con “l’ufficiale e la spia”, la storia del capitano ‘ebreo’ Alfred Dreyfus, mostra l’criticità della malattia antiebraica che viene assunta anch’essa pacificamente come dogma senza dottrina

Polański porta sullo schermo il vero cancro dell’antisemitismo

L’ultimo “Polański”, “L’ufficiale e la spia”, la storia del capitano ‘ebreo’ Alfred Dreyfus, che il regista francese trae dal romanzo-soggetto di Robert Harris che lo adiuva anche come sceneggiatore, è semplicemente un capolavoro. La storia è nota a i più: il 5 gennaio 1895 il capitano di artiglieria Alfred Dreyfus (Louis Garrel) viene degradato e condannato alla detenzione in un’isola infernale: avrebbe passato informazioni al nemico tedesco. Ma in realtà il Consiglio di guerra che lo giudica si basa su un dossier falso e su una falsa perizia calligrafica del ‘borderò’ incriminato.

Da questa vicenda, l’unico che trae qualche beneficio è il maggiore antisemita Marie-George Picquart (Jean Dujardin) – che ha una relazione con la signora Monnier (Emmanuelle Seigner) – che approfittando della malattia del precedente titolare diviene tenente colonnello e comandante del servizio di statistica dei Servizi segreti. In questa sua veste seguendo il capitano Esterhazy si accorge che il traditore è lui e che le prove sono state fabbricate ad arte proprio dall’ufficio di cui è a capo. Dreyfus è condannato per ebraicità: dal calligrafo al maggiore Henry tutti tramano per questo responso annunciato. Picquart allora informa i vertici politici e gerarchici della sua convinzione fondata, ma trova un muro di gomma, perché nell’esercito “ci sono gli ordini dei superiori e se noi non obbediamo siamo nessuno”.

Ma George ha un’idea diversa di esercito e va avanti coinvolgendo Émile Zola (François Damiens) che con il suo J’accuse su L’Aurore del 13 gennaio 1898 mette alla berlina i vertici dello Stato maggiore e dei Servizi. Questo porterà alla riapertura del caso Dreyfus e ad altri processi ed alla grazia per il capitano ebreo ed alla sua completa riabilitazione in Corte di Cassazione.

Polański ha la capacità di portare alla luce accanto ai monstra giuridici di un processo militare che vede condanne su prove non verificate, il vero cancro dell’antisemitismo: quello della acriticità della malattia antiebraica che viene assunta anch’essa pacificamente come dogma senza dottrina. “Devo pensare che gli ebrei hanno insegnato ad un’altra persona a scrivere come Dreyfus”, dice il calligrafo davanti alla prova evidente che il borderò era stato scritto da Esterhazy: davanti alla luce del diritto e della scienza c’è la negazione dettata dal pregiudizio senza giudizio. Il film ha una ricostruzione perfetta nella scenografia (Jean Rabasse), nella fotografia (Paweł Edelman), nelle musiche (Alexandre Desplat). L’orgoglio è che questo film francese sia anche una produzione italiana.
Vincenzo Aiello

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