Intervistato da La Stampa: “Non amo parlare della guerra, non l’ho fatto con i miei figli, sono troppo piccoli. Il razzismo? Certa gente deve stare a casa. Allo stadio non ci serve”

La Stampa ospita oggi una lunga e bella intervista all’attaccante della Roma, Edin Dzeko. Tra i temi trattati anche quello del razzismo.
Racconta che da piccolo, per la sua altezza, lo prendevano in giro chiamandolo “kloc”, il lampione.
«Da bambino tutto ti dà fastidio, mi dicevano che con il tempo avrei capito. Così ora mi scivola tutto addosso».
Dzeko racconta che della guerra in Bosnia non ha mai parlato con i suoi figli, né dei tanti morti sotto i bombardamenti.
«Io non amo parlare della guerra e loro sono troppo piccoli. Magari un giorno lo farò, sperando che nessuno di loro debba mai passare quello che ho vissuto io».
Di quei tristi anni dice di ricordare tutto anche se era piccolo.
«Mi ricordo quasi ogni cosa, ma fu peggio per i miei genitori. Ero un bambino e forse è stato meglio non capire tutto, la gente ancora adesso non ha compreso che quella guerra non serviva a niente».
Oggi è ambasciatore Unicef. Dichiara che se avesse una bacchetta magica la userebbe per non vedere più nessuna guerra nel mondo.
L’attaccante bosniaco parla anche di Roma-Napoli e di quando è andato sotto la curva giallorossa per zittire i cori razzisti:
«La cosa migliore è che dopo il mio intervento hanno smesso con quei cori».
Ha cercato di mettersi nella testa di certi tifosi?
«Non li comprendo proprio. Ho giocato con ragazzi di ogni paese, siamo tutti fratelli. Non capisco che cosa abbiano in testa, certa gente deve stare a casa. Allo stadio non ci serve».