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Davide Ancelotti, ben oltre la stantia etichetta di “figlio di”

Nel post-partita di Roma-Napoli non ha negato i problemi della squadra. Per farlo, occorre personalità. Mentre in giro impazza l’odio sociale

Davide Ancelotti, ben oltre la stantia etichetta di “figlio di”

Viviamo tempi contraddistinti da un profondo odio sociale. La nostra è una società fondamentalmente basata sull’odio, sull’invidia. Figuriamoci quale possa essere il trattamento riservato nel calcio a Davide Ancelotti il viceallenatore del Napoli che è anche il figlio di Carlo. Il mondo è pieno di allenatori in seconda – una volta si diceva così – che guidano la squadra in assenza del titolare. Fondamentalmente passano inosservati. Davide Ancelotti no, non può. Almeno non a Napoli dove sin dall’inizio la vulgata ha proposto con certezza la versione secondo cui il buon Carlo avrebbe accettato Napoli per “sistemare il figlio”. Ovviamente ciascuno vede e interpreta il mondo con i propri occhi e non sorprende che a Napoli in tanti si riempiono la bocca con questa storiella. Chi di loro non procurerebbe un “posto” al figlio?

Sta di fatto che Davide Ancelotti – che un po’ di club li ha girati, nello staff del padre ma li ha girati – ieri ha colpito non poche persone al termine di Roma-Napoli. Proprio perché accompagnato da questa assurda etichetta, le sue parole hanno catturato l’attenzione. Sì perché nel post-partita il vice allenatore non ha scelto la strada dell’ipocrisia o della chiusura a riccio. Ha espresso concetti importanti. Non ha negato i problemi. Ha parlato di squadra che fatica a trovare continuità di rendimento e di risultati, non ha nascosto le lacune difensive. Ha ovviamente difeso il lavoro svolto, così come le scelte di mercato. «Continuo a pensare che questa squadra sia più forte di quella dello scorso anno. Sono arrivati giocatori importanti che ci hanno consentito di vincere partite importanti al termine di prestazioni importanti».

È lui che ha fornito l’immagine del Napoli che offre più versioni di sé. Insomma ha giocato a viso aperto, e non si è nascosto. Per farlo, occorre personalità. Ha scelto un registro diverso da quello del padre che generalmente, non sempre, è più “coperto” nelle sue dichiarazioni. Si può essere figli di un grande allenatore e avere le qualità per esserne il vice. Qualità tecnico-tattiche – come la scoperta di Fabian, su cui si trovò in piena sintonia con Giuntoli, tanto per fare un esempio -, di personalità come abbiamo visto ieri nel post Roma-Napoli. Personalità che ha ribadito anche ricordando che è presto per tracciare i bilanci: «Questa squadra può lottare per traguardi importanti». E anche di generosità: ieri, quando i raccattapalle della Roma erano praticamente scomparsi, non ha esitato a correre per recuperare il pallone evitando così ulteriori perdite di tempo.

Mentre sui social fanno a gara a vomitare il loro insulso livore, Napoli non riesce a comprendere di avere in squadra uno staff di trentenni che altrove ci viene invidiato – come confermato dalla puntata di Radio Rossonera con ospite il preparatore atletico Francesco Mauri. Intanto martedì il Napoli ha il Salisburgo in casa. Potrebbe, con una vittoria, raggiungere gli ottavi con due gare di anticipo. È una partita molto importante. «Una finale», ha detto ieri Davide Ancelotti troppo sbrigativamente catalogato alla voce “figlio di”.

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