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Turchia, Barcellona, lo scontro Cina-Nba: il ritorno della politica nello sport

Non accadeva dai tempi del necrologio di Mihajlovic in morte della “tigre” Arkan. Il documento del Barça contro la condanna dei dodici indipendentisti catalani

Turchia, Barcellona, lo scontro Cina-Nba: il ritorno della politica nello sport

Era dai tempi del necrologio di Mihajlovic in morte della “tigre” Arkan che la politica internazionale non finiva calpestata su un campo di calcio con la sfrontatezza di un saluto militare in favor di telecamere. Bisognava avere la faccia di Sinisa (lui direbbe “le palle”) per difendere sfondoni del genere pur truccandoli con l’orgoglio nazionalista che di ‘sti tempi assolve quasi tutto. O – nel caso – quella molto meno consapevole dei giocatori della nazionale turca, lì in posa ad omaggiare l’attacco della Turchia al popolo curdo nella Siria del Nord. Questione di presa di posizione, soprattutto per chi quella posizione ce l’ha e la usa per veicolare messaggi più o meno discutibili. Ma è un fatto che “la difesa della libertà di espressione” sia un concetto ormai strattonato qua e là nella comunicazione sportiva del 2019. A volte a vanvera, altre cinicamente alla ricerca di un tornaconto d’immagine, quasi sempre parte integrante di un blob di interessi politico-finanziari che di sportivo ha ben poco. Non è più, da molto tempo, il pugno alzato, consapevole ma improvvisato, a Città del Messico 68 da Tommie Smith e John Carlos, o le braccia degli austriaci Sindelar e Sesta che nel 1938 non si alzano per il saluto nazista al termine della “partita della riunificazione” tra Austria e Germania.

È invece – molto di più – il comunicato che il Barcellona ha pubblicato oggi contro le condanne emesse stamattina dal Tribunale Supremo spagnolo ai 12 leader indipendentisti catalani.La prigione non è la soluzione“, è il titolo. E più che una una difesa degli imputati (tutti condannati con pene non inferiori ai 9 anni) è un’esplicita dichiarazione politica fatta da “una delle principali entità catalane“, “in conformità alle sue posizioni storiche a difesa della libertà di espressione“. Non l’amicizia personale di un singolo giocatore con un criminale di guerra, come nel caso dell’allenatore del Bologna. Tantomeno l’espressione distorta di orgoglio nazionale di Under, Calhanoglu e compagni nell’omaggiare un’aggressione militare, fregandosene del garbuglio di risvolti umanitari, politici e morali che il gesto ha irrimediabilmente violentato. Il Barcellona ha scelto da tempo di farsi veicolo comunicativo dell’indipendentismo catalano. Il suo capitano, Gerard Piqué, è un simbolo della lotta per una maggiore autonomia della Catalogna e il 1° ottobre 2017 votò al controverso referendum per l’indipendenza della regione. Nel comunicato il messaggio è chiaro: “La soluzione del conflitto deve venire esclusivamente da un dialogo politico” e questa sentenza, secondo il club, non aiuta: “la prigione non è la soluzione“.

Il mezzo è sempre stato il messaggio, e oggi che tutto è strategia – anche quando non lo è, lo diventa per contorsione a posteriori – lo sport ne è il mezzo per eccellenza. Da maneggiare con cautela per evitare che lo stesso spirito, persino costruttivo, di alcune uscite o provocazioni ti si ritorca contro digerito male da quel mostro ruminante che è l’economia politica dello sport. Daryl Morey, General Manager degli Houston Rockets, la squadra NBA più amata dal mercato cinese, pochi giorni fa ha osato scrivere su Twitter “Fight for Freedom. Stand With Hong Kong. Un tweet semplice, stringato, ma battuto da uno dei più importanti dirigenti del basket Usa. Effetto immeditato: la federazione cestistica cinese governata tra l’altro da Yao Ming, uno dei più grandi giocatori della storia degli stessi Rockets, ha immediatamente tagliato ogni rapporto con la franchigia.

Una questione spiegata molto bene da Joseph Tsai, il co-fondatore di AliBaba e proprietario dei Brooklyn Nets: “1,4 miliardi di cittadini cinesi sono uniti come un solo uomo quando si parla di integrità territoriale e di sovranità della Cina sulle proprie terre. Un argomento non negoziabile”. Ha provato a chiudere il commissioner NBA Adam Silver: “In qualità di rappresentante di un’organizzazione basata sui valori voglio mettere in chiaro che supportiamo la libertà d’espressione di Morey e la sua libertà di esprimere un’opinione politica. Avere chiesto scusa ai nostri tifosi cinesi non significa non supportare la libertà d’espressione di qualcuno“. Il mercato cinese, per il basket americano, vale 4,4 miliardi di dollari. Messi in crisi per un tweet e dal suo carico di libertà d’espressione. Non c’era riuscito nemmeno il “take a knee”, l’inchino degli atleti neri (prima del football poi anche di baseball e basket) durante l’inno americano in segno di protesta contro le discriminazioni razziali, e le vicinanze dell’amministrazione Trump con gli ambienti del suprematismo bianco.

Il Barcellona che avoca a sé il diritto-dovere di prendere una posizione politica, qualsiasi essa sia, aliena dallo sport, è solo un esempio di gestione matura della propria forza comunicativa. È l’aggiornamento della responsabilità sociale al tempo dello sport-comunicazione, un posto strano in cui una nazionale fa il saluto militare mentre con un pensierino di sei parole un dirigente di basket rischia di far crollare un’intera economia.

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