È la classica domanda al presidente della Repubblica in visita. Come se fosse un malato terminale. Poi arriva il medico bravo da fuori (Ancelotti), e non il capopopolo, viene subissato di critiche
Ci chiamano quirinalisti
Prendo spunto dall’ultimo e ottimo scritto di Raniero Virgilio per fare alcune considerazioni. È necessaria una premessa: sono un giornalista che segue il Quirinale (ci chiamano con una enfasi che non mi piace “quirinalisti”) e provengo da una famiglia campana/napoletana e ben radicata a Napoli. Vivo a Roma e spesso mi trovo, e mi sono trovato, a venire in città per lavoro, al seguito del capo dello Stato di turno.
Ebbene, puntualmente – nei modi più diversi ma la sostanza rimane quella – alla prima occasione di contatto con il presidente i colleghi napoletani (ne conosco tanti, bravissimi giornalisti) pongono sempre la stessa domanda. “Presidente, ma Napoli ce la farà?”. Domanda, a volte non così diretta ripeto ma chiara nelle sue intenzioni, spesso fuori dal contesto. Ce la farà a fare cosa?
Ricordo qualche anno fa, arrivando alla stazione centrale rimessa a nuovo con Giorgio Napolitano, i colleghi napoletani – appena avuta la possibilità di fare domande al presidente – lo hanno circondato e subito lanciato la domanda: “Presidente, Napoli ce la farà?”. A sconfiggere la camorra, il malaffare, la cattiva amministrazione, l’adagiarsi sulla ritenuta ineluttabile microcriminalità, la corruzione, gli amministratori incapaci, la spazzatura?
Il malato terminale
Sembra sempre, e mi rifaccio a Virgilio, che si chiedano informazioni su un malato terminale e al quale i medici hanno dato poche speranze. E poco importa se, alternativamente, in città ci siano stati buoni amministratori e…buoni allenatori di calcio. Il concetto è sempre quello – caro e nello stesso tempo da respingere –: Napoli città, società sta morendo, ci vuole solo un miracolo per salvarla. Una sfiducia, uno scetticismo quasi congenito nei confronti di chiunque tenti di intervenire, di curare, di sanare il malato. In sostanza si dice: solo noi napoletani, emigranti o abitanti della città, tifosi del Napoli – lanciando quella domanda ammantata di retorica insopportabile (tanto la risposta già la si conosce) – siamo in grado di intervenire, noi conosciamo il malato. Ma non riusciamo a fare nulla.
A meno che non ci sia la fascinazione, l’innamoramento per una figura (vedi Sarri per esempio) che sembra aver capito le malattie e la cura conseguente per portare il malato fuori dal rischio. Anche se questa va contro le leggi della medicina, della scienza, del buon senso, del calcio tanto che alla fine il malato rimane tale. Un mago (un capopolo) insomma, che solletica solo la pancia della città fermandosi però, è un evidente controsenso, solo alle esteriorità e senza essere in grado di risolvere il problema. Ma ci si adagia su questo. Con buona pace di una visione di medio-lungo periodo, di una progettazione, di una fiducia nel futuro. “Presidente, ma Napoli ce la farà?”.
Il medico che arriva da fuori
Ed ecco allora arrivare Ancelotti a Napoli (andiamo al cotè calcistico), uno dei migliori e più vincenti allenatori al mondo. Giunge nell’ex capitale quasi in silenzio. Suo (e gliene va dato merito) e della stampa nazionale (invece colpevolmente distratta). Due estati fa sono arrivati nell’Italia calcistica – segnando una inversione di tendenza per un campionato un tempo primo approdo di campioni provenienti dall’estero e diventato col passare degli anni una provincia dell’impero – Ronaldo alla Juventus e Ancelotti al Napoli. Il primo o il secondo giocatore più forte del mondo e il suo equivalente tra gli allenatori. Ma quella estate – leggo molti giornali, per lavoro e per diletto – sulla stampa nazionale era sembrato arrivare solo il calciatore portoghese. Sul tecnico di Reggiolo certo articoli, considerazioni, riflessioni ma nulla a che vedere con Cr7. Soprattutto in città, sulla stampa “locale” si trovavano addirittura critiche per l’arrivo del pensionato d’oro che pensava, cuore di papà, solo a sistemare il figlio.
Era arrivato invece un medico calmo, preparato e in grado di offrire la cura per il malato, avendo il pregio di parlare alla testa dei parenti – di far comprendere la malattia – e non al loro cuore, inevitabilmente oscurato dall’amore smisurato per il congiunto. Ma è uno che non capisce, noi conosciamo la ricetta è stato e viene detto. O comunque, è l’aggiunta, la ricetta l’aveva lo stregone precedente. E allora se l’approccio era questo (come è stato) e lo è ancora oggi dopo l’altalenante avvio di stagione, non stupirebbe se lo stesso Ancelotti lasciasse prima del tempo. E abbandonasse il malato al suo destino. Certo, è sempre colpa delle avversità, del terremoto – si dirà – della P2 di Licio Gelli, dello Stato centrale, di…De Laurentiis.
Ma così non se ne esce, anche se Adl potrebbe far sentire pubblicamente la sua vicinanza al tanto voluto Ancelotti. In ogni caso io mi fido di questo medico, mi fido di Ancelotti e lo seguirò (insieme a mio figlio, universitario a Zurigo, che non si perde una partita del Napoli) fino in fondo. Mutuando Virgilio, fino alla serie C se accade! Insomma presidente “(il) Napoli ce la farà?”. Se i parenti, i congiunti, gli amici sono questi certamente no, indipendentemente dalla bravura del medico. Francesco Del Vecchio