L’Italia provinciale e mediocre “schifa” l’Europa League e non prova a vincerla
Sul Foglio Sportivo Roberto Perrone scrive che abbiamo una visione snobistica dello sport, siamo dei cialtroni che giocano a fare gli splendidi

L’Europa League non interessa all’Italia del calcio, scrive Roberto Perrone sul Foglio Sportivo. Né ai presidenti, né ai dirigenti, e nemmeno agli allenatori, ai giocatori e ai tifosi. Interessa poco anche ai giornalisti.
Tutti pensano che rappresenti un declassamento.
“Se il Milan avesse rinunciato alla Champions ci sarebbero stati dei tumulti di piazza, ha mollato l’Europa League e non se n’è accorto nessuno, passato in cavalleria”.
Ma è un errore, perché a volare basso ci si ritrova in basso, come dimostra la classifica.
L’Europa League, a parte per il calcio italiano, “periferico e millantatore (di una grandezza che non ha più)” è un’occasione che fa crescere consapevolezza ed esperienza. E’ importante perché forma, scrive Perrone. E invece in Italia è alla pari, se non più sotto, della Coppa Italia.
“Non c’è stata mai una squadra italiana che abbia provato seriamente a vincerla e neanche una è andata in finale. Neanche una”:
La Fiorentina è l’unica che ci abbia provato, nel 2008, quando fu sconfitta ai rigori in semifinale dai Rangers di Glasgow. La Juventus, nel 2014, fu eliminata dal Benfica in semifinale, quando aveva già la finale programmata allo Stadium. Addirittura, tre giorni prima, contro il Sassuolo, Conte, pur sapendo di doversi giocare l’Europa League di lì a poco, aveva schierato tutti i titolari.
Perrone addebita questo scarso interesse al cambio della formula e del nome. Prima, quando ancora si chiamava Coppa Uefa, per l’Italia era importante. Dal 1989 al 1999 abbiamo collezionato otto successi. Poi, dopo, niente più.
Il disinteresse per l’Europa League è un segno del modo in cui l’Italia vede il calcio,
“provinciale, periferico, mediocre. Abbiamo una visione snobistica dello sport e si vede dal birignao con cui la approcciamo”.
Scrive Perrone:
“In generale siamo dei cialtroni che giocano a fare gli splendidi. Ci muoviamo solo per la partita di cartello, per la prima della Scala, per la finale”.
Succede sia con i club che, ancora peggio, con la Nazionale.
Nelle partite all’estero, se non ci fossero i nostri connazionali espatriati, l’Italia, ai primi turni, non avrebbe nemmeno un tifoso al seguito.
“Il nostro esodo comincia alla vigilia della finale, qualche volta per semifinale, se è di un certo livello. Noblesse oblige”.
È questo modo di intendere il calcio che ci ha portati “a schifare” l’Europa League, a considerarla “un impaccio, se non una iattura”.
Un po’ come succede per i libri.
“In Italia si legge poco e allora il racconto potrebbe essere la risposta alla difficoltà di leggere duecento e passa pagine. Distanza più breve, quindi più facile da colmare. E invece no, i racconti non li vuole nessuno. Se devo leggere qualcosa, mi compro il librone”.
Così capita nel calcio, esiste solo la Champions League. Quando una squadra italiana conquista un posto in EL, se ha mancato la Champions si mostra delusa, se invece viene dal basso fa festa,
“poi, quando si comincia, entrambe esibiscono lo stesso fastidio. E i risultati si vedono. Anzi, non si vedono proprio”.