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Dall’oro del dolore all’eutanasia, è morta la campionessa paralimpica Marieke Vervoort

Aveva 40 anni e soffriva di una grave malattia degenerativa. Oro olimpico a Londra, argento e bronzo a Rio

Dall’oro del dolore all’eutanasia, è morta la campionessa paralimpica Marieke Vervoort

Ha scelto di non morire di dolore, dopo quasi essere morta di dolore ogni giorno dei suoi giorni. Ha scelto di vincere tutto, e di battere pure la malattia. Marieke Vervoort ha scelto di morire, martedì scorso. Ha fatto ricorso all’eutanasia a 40 anni, a causa delle gravi sofferenze che le causava una malattia degenerativa diagnosticata quando ne aveva 21. Da campionessa Olimpica. Sulla sua carrozzina l’atleta belga aveva vinto una medaglia d’oro nei 100 metri T52 e un argento nei 200 metri T52 alle Paralimpiadi di Londra 2012, e poi l’argento nei 400 metri (T51/52) e il bronzo nei 100 metri (T51/52) alle Paralimpiadi di Rio. Le sue medaglie “con due facce: una felice e una triste”.

Nel 2008 Vervoort aveva firmato i documenti che le avrebbero permesso in seguito di fare ricorso all’eutanasia, che in Belgio è legale, e si era liberata: “Non è un omicidio – disse nel 2006 alla BBC – È grazie a quei documenti che vivo ancora. Prima pensavo solo a un modo per suicidarmi. Tutte le persone che firmano quei documenti qui in Belgio si sentono meglio. Sanno che non dovranno morire di dolore. Possono scegliere un momento, ed essere con le persone con cui vogliono stare. Con l’eutanasia sei certo che avrai una morte dolce e bella”.

Invece di una vita fatta di crisi epilettiche, di dolori atroci e paralisi delle gambe a causa di una malattia spinale progressiva e incurabile che piano piano le aveva devastato corpo e anima costringendola ad assumere altissime dosi di antidolorifici e morfina:

“Non ci sono mai due giorni uguali. A volte mi sento molto molto male, mi vengono delle crisi, piango e grido dal dolore. Ora so come mi sento, ma non so come mi sentirò tra mezz’ora.  Molti mi chiedono come sia possibile ottenere risultati così buoni e continuare a sorridere con tutto il dolore e le medicine che mangiano i muscoli. Per me, lo sport e la corsa con una sedia a rotelle sono una specie di medicina”.

Nel 2013, un incidente in gara le lascia una spalla gravemente danneggiata. Un medico le dice che non sarebbe tornata forte come prima. “Ho trasformato il mio letto in una palestra. Dopo la riabilitazione ho battuto tre record mondiali”. Torna dal dottore e lo ringrazia: “Mi ha dato la forza di reagire come un animale. Ha reso la mia mente solo più forte”.

La medaglia d’argento nella T52 400m a Rio arriva dopo 30 ore di attacchi violenti e una giornata con una flebo reidratante nel villaggio paralimpico. Il bronzo nei 100m dopo un’infezione alla vescica e la febbre.

Ha vinto e ha deciso di regalare la sua vittoria sulla sofferenza agli  altri:

“Ho preparato tutto, ho scritto a tutte le persone che sono nel mio cuore. Ho scritto a ogni persona una lettera, finché potevo ancora farlo con le mie mani. Ho scritto perché devono fermarsi a leggere. Voglio che prendano un bicchiere di vino, leggano e brindino a me, perché ho avuto una vita davvero bella. Ho avuto una malattia molto brutta, ma grazie a questa malattia sono stata in grado di fare cose che la gente può solo sognare, perché ero mentalmente forte. Voglio che la gente ricordi Marieke, che viveva giorno per giorno e si godeva ogni piccolo momento”.

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