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Barça e catalanismo: quando un club sposa un’ideologia e la causa politica di un popolo 

Il Barça sospende le attività istituzionali in risposta alla sentenza di condanna dei politici indipendentisti catalani proseguendo la tradizione catalanista del club. Ora rifiuta d’invertire il Clasico Barcellona-Real Madrid nel giorno di una maxi manifestazione dopo gli scontri che hanno provocato 125 feriti e 30 arresti

Barça e catalanismo: quando un club sposa un’ideologia e la causa politica di un popolo 

“Ciutadans de Catalunya, ja la tenim aquí” [Cittadini della Catalogna, ce l’abbiamo già qui]. Era il lontano maggio 1992 e il Barça aveva appena vinto la sua prima Coppa dei Campioni. Josep Guardiola, allora centrocampista del Dream Team di Cruyff, aveva centellinato queste parole rivolgendosi ad una folla festante dal balcone del Palau de la Generalitat. Pep infatti parafrasava Josep Tarradellas, ex presidente della Generalitat in esilio e co-fondatore del CER, che pronunciò parole molto simili da quel balcone subito dopo la caduta del regime di Franco e dopo un esilio durato 40 anni. Il 23 ottobre del 1977 Tarradellas pronunciò infatti la sua famosa frase: “Ciutadans de Catalunya, ja sóc aquí” proprio da quel balcone e, sette giorni dopo, fu acclamato nel Camp Nou, stadio che non conosceva ancora (quando fu costretto all’esilio il Barça giocava ancora a Les Corts).

Mentre Barcellona lotta contro la repressione del governo centrale, anche questa volta, come due anni fa e come sempre nella storia del catalanismo, il Barça non si tira indietro. Di fronte alla sentenza di condanna che ha punito i leader politici e gli attivisti con pene da 9 a 13 anni di carcere, la reazione del club azulgrana non si è fatta attendere: la prigione “non è la soluzione”, “il conflitto sia risolto attraverso il dialogo politico”. Nessun timore reverenziale dunque verso il governo di Madrid da parte di un club che si è rifiutato di spostare il Clasico del 26 ottobre prossimo perché in concomitanza con una maxi-manifestazione di protesta nei confronti della sentenza e contro gli arresti politici. La mente va al 2011 con Guardiola che approfitta di una visita in Champions League al Bernabeu ad alta tensione – periodo Mourinho – per lanciare il suo messaggio di indipendenza: “Siamo caduti molte volte. Come squadra e come paese, e siamo risorti di nuovo. Tante, tante, tante e tante volte…..”, disse durante una conferenza stampa che passerà alla storia del catalanismo sportivo. “Il nostro paese è cosi piccolo che da un campanile si può vedere il campanile vicino”, chiosò poi l’allenatore citando la famosa canzone di Lluís Llach, País Petit.

Non si parla di Guardiola a caso. Un ex giocatore ed allenatore del Barça che ha sposato il catalanismo esponendosi anche a livello politico (rischiando processi pesanti ed anche arresto) per aver difeso e fatto campagna per l’indipendenza catalana contro il centralismo madrileno-spagnolo (retaggio del franchismo ed incarnato nella squadra del Real Madrid). Ogni partita contro l’odiato il Real, soprattutto quelle più importanti, è stata accompagnata da dichiarazioni politiche che hanno fatto coincidere la causa calcistica con quella politica. Per lui, come per tutti i giocatori catalani del Barça è una questione politica, identitaria, storica. Per la Catalogna i catalani si sono fatti assassinare e bombardare (anche con l’ausilio dell’aviazione fascista italiana).

Dunque anche oggi, mentre Barcellona brucia, con il comunicato di condanna alla sentenza condiviso dai capitani Gerard Piqué, Sergi Roberto, Victor Tomas e Alexia Putellas, il Barça non cambia rotta.  Il club chiede l’avvio di un processo di dialogo e di negoziato per consentire il rilascio dei prigionieri e esprime il suo sostegno alle famiglie dei condannati. Nell’ultima assemblea dei socios del club, il presidente, Josep Maria Bartomeu, ha ricordato che il Barça ha sempre agito “con fermo impegno in difesa del paese (la Catalogna ndr), della democrazia, della libertà di espressione e del diritto di decidere”. Il Camp Nou, inoltre, è sempre stato teatro di svariati eventi per promuovere l’indipendenza come la Via Catalana o il Concerto per la Libertà e ha anche trasmesso attraverso gli altoparlanti dello stadio diversi messaggi durante le partite del Barça per chiedere il rilascio dei prigionieri o per porre fine alla repressione spagnola. Il Barça oggi ha sospeso le attività istituzionali previste per i prossimi giorni: tra queste la prevista inaugurazione di un nuovo negozio del Barça e diversi eventi per celebrare i 40 anni della Masia.

Il fatto che il Barça si sia ancora esposto in tal modo non è certo sorprendente ed in linea con la sua storia. Dalla sua fondazione nel 1899 il club è sempre stato un alleato prezioso del catalanismo politico come raccontano anche il giornalista Adrià Soldevila e lo storico Abraham Giraldés in un libro dal titolo emblematico: “Una Bandera ens agermana ” (inno del Barça composto nel 1974 da Josep Maria Espinàs e Jaume Picas). Soldevila ricorda che il connubio tra Barça e catalanismo politico comincia nel lontano 1908, quando Joan Gàmper assume la presidenza del club. Nel 1916 adotta il catalano come lingua ufficiale, ma il primo grande gesto arriva nel 1918, quando il club aderisce alla richiesta dello Statuto di autonomia, statuto promosso dalla Federazione catalana con il sostegno di partiti politici catalani e di molte entità del paese: le Cortes spagnole respingono fermamente la richiesta, nel mezzo di una forte campagna anti-catalana.

Il primo grande episodio politico del Barça avviene però qualche anno dopo, a Les Corts, nel 1925, a margine di un amichevole tra Barça e Jupiter in omaggio all’Orfeó Català (finita 3-0 per il Barça). Prima della partita, la banda della Royal Navy britannica, che era su una nave ancorata nel porto di Barcellona, suona l’inno britannico, ‘God Save the Queen’, e subito dopo la Marcia Reale, l’inno spagnolo, pensando che sarebbe stato di gradimento del pubblico. Non fu così:  lo stadio fischiò pesantemente. Il governatore civile Joaquín Milans del Bosch, che era presente, stordito, riferì alle autorità che congelarono le attività del Barça e squalificarono il campo per sei mesi. Hans Gamper, presidente del club, fu invece condannato all’esilio dalla dittatura di Primo de Rivera.  Nel 1935 prese le redini del Barça un certo Josep Sunyol i Garriga. Membro della Sinistra Repubblicana di Catalogna, fu eletto deputato alle Cortes Generales nel febbraio 1936. Nell’agosto di quell’anno, con l’inizio della guerra civile spagnola, fu vittima di un’imboscata nella Sierra de Guadarrama presso Guadalajara, nei dintorni di Madrid: finì fucilato dalle truppe franchiste, come in un schizzo di Goya.

Nel periodo della dittatura franchista lo spirito catalano del club si eclissò per forza di cose davanti alla repressione e alla violenza del regime spagnolo. Nel ’68 Marcis de Carreras, liberale e fervido difensore dell’indipendenza catalana fu eletto presidente del Barça per acclamazione. Durante il suo discorso di insediamento, che aveva poi fatto in castigliano come richiesto dalla legge, Carreras disse: “Il Barcellona è più di una squadra di calcio (Més que un club), il Barcellona è più di un semplice luogo in cui le partite di calcio si giocano la domenica. Al di là di tutto questo, è uno spirito che tutti noi abbiamo dentro, sono i colori che amiamo”. All’epoca della dittatura in Spagna, questa frase che additava il Barça a simbolo catalano passò inosservata, almeno fino al 1973 quando ne fu chiara invece la natura politica e cadde nel dimenticatoio.

Per capire l’aria che si respirava in quegli anni basta ricordare un aneddoto: il 3 settembre 1972, lo speaker dello stadio Manel Vich fece un semplice annuncio in catalano all’altoparlante durante un Barça-Deportivo per ritrovare un bambino che si era perso sugli spalti. Un fatto semplice ed innocuo che si trasformò in un caso politico con annessa reazione rabbiosa da parte del Ministro degli Interni dell’epoca, Tomás Garicano Goñi. Dopo quell’evento non si è mai più parlato catalano allo stadio fino al 1975. Solo con la morte di Franco il Barça ritrova il proprio catalanismo politico ed il Camp Nou diventa il teatro di eventi politici, come il famoso concerto di Lluís Llach del 1985, durante il quale il poeta e cantore intona anche la famosa canzone rivoluzionaria  L’Estaca, composta nel 1968, in piena dittatura. Un grido al popolo catalano per liberarsi dall’oppressore, un grido per raggiungere la libertà che ha oltrepassato anche i confini della Catalogna.

Oggi, dopo oltre trent’anni, Barcellona brucia e ancora risuonano tra le sue strade in fiamme le note e le parole di L’Estaca:

Si estirem tots, ella caurà, si jo estiro fort per aquí i tu l’estires fort per allà, segur que tomba, tomba, tomba, i ens podrem alliberar

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