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Al Tuts Bakery, a Palo Alto, c’è un cameriere alto e gentile: è Hakan Sukur

In Turchia gli hanno confiscato i beni. «Ho deciso di rimanere qui a vendere caffè e pasticcini. Credo che un giorno tornerà la luce. L’oscurità non dura per sempre»

Al Tuts Bakery, a Palo Alto, c’è un cameriere alto e gentile: è Hakan Sukur

Faticosamente.

Tutte faticosamente.

Tutte faticano a reggere il ritmo.

Palpitazioni all’Olimpico. Dove ci sono due partite.

Primo tempo di una Dea stellare che impone un dominio impressionante. Gasp mischia le carte ed Inzaghi non ci capisce nulla.

Tre goal, partita chiusa.

E invece no. Perché nella ripresa cambia tutto.

I bergamaschi rallentano. Forse perché pensano al City. Forse semplicemente perché non reggono quell’ uno contro uno a tutto campo così dispendioso.

E l’incredibile accade. Gli Aquilotti compiono l’impresa e i tifosi impazziscono.

Il Gasparotto mostrerà la sua stoffa ruvida e la sua tacca mezzana quando incredulo e inviperito si scaglierà contro i rigori procurati da Ciruzzo di Torre per mascherare lacune spaventose di tenuta mentale e di gestione del risultato.

Lacune che tra l’altro appaiono tristemente evidenti non appena la squadra scavalca le Alpi Orobie a sfidare l’Europa.

Contava vincere al San Paolo.

Dopo Torino e dopo Genk. E dopo una settimana impetuosa.

Durante la quale l’Impomatato sceglie il bastone. E come un Miles plautino sferra mazzate a voltabraccio per tutti.

Il Pibe di Fratta dica cosa vuol fare da grande. E inoltre si ricordi di fare il capitano e provi, lui di stazza piccola, ad essere all’altezza del ruolo. Poi, se ha tempo, sorrida un po’ di più.

Lazarillo e il Fiammante Fiammingo sono attratti da miliardarie lusinghe cinesi? Cazzi loro se scelgono una vita di merda.

E qui ci sarebbe da chiedere in un sussurro timido al travolgente presidente un chiarimento. Se le lusinghe sono miliardarie, dove sta la vita di merda?

Contava vincere. E intanto per una buona mezz’ora si è sperato almeno di pareggiarla.

Chissà se oltre al muso del Pibe e all’oro cinese, i guai della squadra non siano più semplicemente l’assenza di una organizzazione di gioco.

Geme di voluttà Giulietta. Le incudini lucenti dei suoi seni (roba che una prosa meno poetica e velleitaria, ma più spiccia e terragna sintetizzerebbe semplicemente nelle incursioni di Veloso e Amrabat) accecano i frastornati azzurri. Non accecano il meraviglioso Albatros del Friuli che per nostra fortuna è algido come il cocuzzolo delle Dolomiti del Cordevole. E dunque con una incredibile velocità reattiva si nega per tre volte. E tre volte salva.

Nel momento di maggiore imbarazzo la sblocca e si sblocca l’attesissimo Arkadio, l’armadio di cristallo. Il goal nasce da un’azione di pensiero e ragionamento, per nulla banale. Dal Cavolfiore giallo a Lazarillo. Poi il Fenicottero andaluso viene a prendersi la palla perché lui sa cosa fare e dove metterla. Lì al centro, sul sinistro del polacco. E il polacco si fa trovare pronto.

Si toglie la scimmia di dosso, Arkadio, e si prepara per il capolavoro.

Perché il capolavoro è il suo secondo goal. Il Pibe pennella e lui entra in spaccata volante e rapace a fil di palo da centravanti puro.

Un capolavoro di coordinazione e di tecnica.

Questo qui è un campione signori. Ha una media goal dei grandi attaccanti. Perché è un grande attaccante. Bentornato.

Ora tutti da Mozart. E vediamo che musica ci suona.

Suonano la grancassa e in verità anche strumenti più nobili gli ergastolani contro i ragazzi di Sinisa. E nel primo tempo meritano anche il 3-0.

Poi faticano.

D’accordo niente rigore sul mani di De Ligt. Però adesso Rizzoli convochi gli arbitri e dica una volta per tutte come ci si comporta in casi simili. Così la facciamo finita.

Niente rigore su De Ligt ma forse sul Piccolo Principe sì. Quando ne stende letteralmente due prima di coordinarsi per il goal del vantaggio.

Sor Polpetta, ormai dalla parte giusta della barricata, ai microfoni glisserà elegantemente.

Negli gli ultimi 30 secondi allo Stadium c’è tutta la Juve. Rigore non concesso (d’accordo, non c’era). Stacco di Santander: traversa e culo. Ancora Santander in rovesciata e stacco di reni del Pomata. Dieci giorni di sciatica sicuri. Questo qui – mi sa – lo vedremo ai Mondiali del Qatar.

Tutta la Juve in 30 secondi. Forti sono forti, anzi i più forti. Però la fortuna non li abbandona mai. Quarta partita 2-1. Seconda con un legno subìto dopo il 90esimo.

Faticano anche i Suninter contro i Ceramisti. Sembrava fatta dopo la doppietta degli arcieri di Conte. Ma non è così. I ragazzi di De Zerbi sfoderano una prova di carattere, esibiscono interessanti individualità in Diuricic e nel giovane Boga dalla velocità impressionante e così mettono in difficoltà i nerazzurri fino all’ultimo minuto.

Divagazioni.

Se vi capita di passare per Palo Alto, in California, fate una capatina al Tuts Bakery and Cafe. Si trova non lontano dall’università di Stanford, fulcro dell’innovazione tecnologica. Lì c’è un cameriere alto e compìto che ritira le tazzine e offre caffè turco, tartine all’avocado e menemen.

Quell’uomo gentile e dall’eleganza sobria, è Hakan Sukur uno dei più grandi e famosi calciatori turchi di tutti i tempi.

227 gol in 18 anni di carriera. Giocò anche in Italia con Torino, Inter e Parma non lasciando ricordi indelebili.

Tutto comincia nel 2008, quando Hakan Sukur, quasi 37enne, decide di appendere gli scarpini al chiodo.

Entra in politica e ottenne un seggio in Parlamento.

Ma subito entra in conflitto ideologico con la linea di Erdogan.

Per gli oppositori del leader la vita si fa sempre più dura.

Dapprima Hakan lascia il Parlamento. Poi nel 2015 capisce che Istanbul non è più aria per lui.

Manda la famiglia negli Stati Uniti e a fine anno la raggiunge.

Appena in tempo, perché nell’estate del 2016 succede il patatrac.

Il fallito colpo di Stato dei militari provoca conseguenze nefaste per la Turchia. Erdogan usa il pugno di ferro in maniera quasi indiscriminata. Centinaia di morti e oltre 600mila persone finite in carcere.

Sarebbe toccato anche a lui se non se ne fosse andato mesi prima.

Colpito da un mandato di arresto, gli vengono confiscati tutti i beni sul territorio turco, da quelli immobili ai conti correnti.

Ed eccolo qui ora in questo esilio non certo dorato.

A chi lo riconosce spiega.

“Avrei potuto rimpatriare e avrei riavuto i miei beni, a patto che sostenessi pubblicamente la linea del governo. Ma ho deciso di rimanere qui a vendere caffè e pasticcini. Credo che un giorno tornerà la luce. L’oscurità non dura per sempre.”

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