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Il giusto distacco di Kapadia per raccontare Maradona

Chissà, forse, il film documentario potrebbe un giorno essere ricordato come la parola definitiva a quel campo di vita e semantica che è stato Diego Armando Maradona

Il giusto distacco di Kapadia per raccontare Maradona

Chissà, forse, il film documentario – e non docufilm – “Diego Maradona”, con la regia del cineasta inglese Asif Kapadia, potrebbe un giorno essere ricordato come la parola definitiva a quel campo di vita e semantica che è stato Diego Armando Maradona. Il perché è nel manico della produzione che ha generato il giusto distacco per analizzarlo. Il film che ha tre lingue originali – inglese, italiano, spagnolo – inizia con le visite mediche e la firma del contratto di Maradona quando il 4 luglio 1984 è nel Golfo di Napoli e sta per diventare un giocatore della squadra meno vincente e della città più povera d’Europa, come commentarono i media del vecchio Continente.

Fenomeno calcistico che aveva abbandonato Barcellona, ma che nella città catalana per la prima volta fa uso di cocaina, costruisce a Napoli e con l’Argentina il suo miracolo calcistico: emancipandosi dalla povertà di Villa Fiorito, favela di Lanus, sobborgo di Buenos Aires. Ma dalle interviste al suo preparatore atletico Fernando Signorini emerge la divaricazione tra Diego “un ragazzo con delle insicurezze, ma dal grande cuore ed intelligenza” e Maradona, questo ectoplasma comunicativo “che non poteva mostrarsi debole”. “In campo io dimentico la vita ed i problemi”, dichiara un giovane Maradona, ma la vita è l’agone più distruttivo per un ragazzo che viene fagocitato dal clan dei Giuliano di Forcella, che avevano il controllo della droga e della prostituzione e che lo legano a sé.

I primi successi sportivi si legano alle dipendenze: la cocaina, le donne e nulla possono i legami familiari ed il rapporto amoroso con Claudia Villafane. Maradona vince – quasi da solo – il mondiale del 1986 in Messico: chi ricorda carneadi come Cuciuffo? Poi i miracoli calcistici con i due Scudetti a Napoli nel 1987 e 1990 prima della maledetta semifinale con l’Argentina al San Paolo contro l’Italia di Vicini. Maradona diventa “il diavolo” per la stampa italiana e finisce nel nervo dell’odio italico. E mentre nel 1986 al ritorno a Napoli era scoppiato lo scandalo del figlio napoletano di Maradona con una giovane ragazza Cristiana Sinagra, amica della sorella di Maradona, inizia la caduta nel 1991 con la condanna per detenzione e spaccio di stupefacenti – “Operazione China” – e la squalifica per doping. La fuga da Napoli: Diego, oramai non più calciatore ma mito, che viene arrestato anche in Argentina per droga con grande scarmazzo mediatico.

Il documentario di Kapadia non accenna se non per qualche fotogramma al mondiale statunitense ed a Blatter: mentre ci ricorda Maradona nel 2004 gonfio e triste che racconta ad un talk la sua esperienza in un ospedale psichiatrico dove “non possiamo conversare con nessuno e dobbiamo rispettare le regole”. La sorella di Maradona, Maria lo descrive così: “Dai 15 anni in avanti Diego ha smesso di essere un ragazzo e si è trasformato in un’altra persona per strappare la nostra famiglia alla povertà”. Diego riconoscerà Diego junior – umanamente – a Fiuggi. Maradona resta nel mito, Diego cerca di riprendere la lotta per la vita.

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