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Quando Diabolik, l’ultras della Lazio ucciso, disse a Salvini: “devi azzerare i Daspo sui martiri del calcio, i capi ultras”

Condannato per spaccio, per estorsione a Lotito, avallò lo striscione per Mussolini a piazzale Loreto, aveva rapporti con Carminati e una villa da 2 milioni a Grottaferrata

Quando Diabolik, l’ultras della Lazio ucciso, disse a Salvini: “devi azzerare i Daspo sui martiri del calcio, i capi ultras”

Oggi i quotidiani ricordano chi era Fabrizio Piscitelli l’ultras della Lazio – gruppo Irriducibili – ucciso ieri a Roma con un colpo alla nuca, Brani tratti da Repubblica e Corriere della Sera.

Alto, magro in gioventù, i Ray-Ban a goccia da destra italiana, i giacconi verdi da Mods, su radio e giornali ripeteva (ascoltato): «Siamo fascisti, gli ultimi rimasti».

Era soprattutto quello che insieme alla moglie si era intestato il 50 per cento dei negozi con il logo di Mr. Enrich: Original Fans.

Le intercettazioni che nel 2006 fecero emergere il tentativo dei quattro di portare Giorgione Chinaglia alla guida del club intimidendo Lotito raccontano il suo spirito imprenditoriale: «C’ho i negozi che non comprano più, l’euforia manca, se rimane ‘sto bastardo noi dovemo fargli la guerra». La guerra l’ha vinta Lotito: i quattro sono stati condannati in primo grado per il tentativo di estorsione. Piscitelli ha preso tre anni e sei mesi.

Nelle stagioni, però, il suo profilo criminale si è fatto sempre più spesso, così incorniciato da un’informativa dell’Antimafia: «Soggetto pericoloso da oltre 25 anni, ha vissuto costantemente all’insegna della prepotenza e della sopraffazione sul prossimo».

L’anno dopo le inchieste su Mafia capitale raccontano come fosse diventato un graduato dell’esercito di Massimo Carminati. Il Cecato dirigeva al Ponte Milvio dei lucchetti d’amore due batterie di rapinatori. Una, quella dei napoletani, «è capitanata da Fabrizio Piscitelli, l’altra, quella degli albanesi, da “Il Pugile” e “Riccardino”». Diabolik si lega alla camorra insediata a Roma e che controlla lo spaccio al Parco degli Acquedotti, a Cinecittà.

Nel 2016 la Finanza gli sequestra 2,3 milioni di euro, compresa la villa a Grottaferrata.

Chiede un incontro a Matteo Salvini: «Devi azzerare tutti i Daspo sui martiri del calcio, i capi ultras».

Rivendica lo striscione per Mussolini vicino a Piazzale Loreto.

«Tira una brutta aria. Se vogliono il ritorno agli anni di piombo, siamo pronti. Il movente dell’attentato è politico». Nell’ultima intervista all’indomani della bomba esplosa nel maggio scorso davanti alla sede degli Irriducibili al Tuscolano, Fabrizio Piscitelli aveva fornito la sua interpretazione dell’accaduto, mettendolo in relazione con lo striscione in ricordo del Duce esposto a Milano pochi giorni prima dagli ultrà della Lazio insieme a quelli interisti.

Per chi ha indagato a lungo su di lui, Piscitelli aveva collegamenti con i boss del narcotraffico, a partire da Michele Senese, e gestiva piazze importanti dello spaccio romano, come quella di Ponte Milvio. La sua era «una batteria di. gente cattiva», aveva detto lo stesso Massimo Carminati, intercettato dai carabinieri che indagavano sul Mondo di Mezzo.

Nel gennaio di quattro anni fa «Diabolik» era stato condannato a quattro anni e otto mesi di carcere per aver importato 183 chili di hashish dalla Spagna. Latitante dal 2013, si era nascosto a casa di una coppia a Casalotti con documenti falsi, ma era stato trovato dai finanzieri che avevano seguito le ordinazioni di pizze la sera di Limassol- Lazio di Europa League.

Famoso il suo incontro raccontato proprio da Lotito. Disse Piscitelli: «Presidente, sono Diabolik». «E io sono l’ispettore Ginko», replicò il patron.

 

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