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Dialogo tra Montalbano ed Questore Bonetti Alderighi sullo isso e sulla rapprisintanza

E datosi che la prima parte della iurnata era andata a a catafottersi, Montalbano pinso bine di dirigersi verso la tratturia di Enzo

Dialogo tra Montalbano ed Questore Bonetti Alderighi sullo isso e sulla rapprisintanza

Commissariato di Vigata, Montalbano è al lavoro nel su officio da primma matina

(squilla il tilifono di Montilbano).

M: “Chi è che scassa?”.

Catarella (agente scilto, tilifonista del commissariato ed addetto al gabbiotto del ricivimento): “Dutturi, dutturi, chiammò poco fa infuscatissimo il quistori Bunetti ‘Derichi che volli che Vossia s’arricampi con ‘mmidiatezza da Iddo a Montilusa”:

M: “Ma ti disse che voli da mia?”:

C: “Nonsi dutturi, sulo dicette che Vossia ecsoabrupti divi ricarisi in Quistura”:

La prescia ben manifistata dalle allittirazioni di Catarella costrinse Montilbano a chiedere a Gallo di accompagnarlo con la su Giulietta. Arrivato a Montilusa, pirò, nonostante l’ “ecsoabrupti” di Catirella, Montilbano fui costritto a na picca di anticammera. E purtoppi anchi ad avere un dialoghi ecstra con il sigritario particolari del Quistori, l’untuosi Lattes e Mieles.

LM: “Carissimo commissario, come stanno sua moglie ed i suoi bambini?”.

Lattes e Mieles, invero, pinsava che Montilbano avendo passato la cinquantina da multo tempora avesse una moglie istituzionale e dei pargoli da criscere.

M: (tentato da distruggere il picca mundopirfitto del LM; nota del ridatturi) “Cosa vuole duttori, si tirra annanza”:

LM: “Bravo,commissario,come voli la Madunnina Santa”.

M: “Ma il quistori è impignato assà: magari posso turnari nel pumeriggio”.

LM: “No, Montalbano, il Questore l’aspetta con ansietà, si tratta solo di pazientare cristianamente per pochi minuti”.

A Montilbano, invero, quelle madunne e quell’avverbio – Montilbano odiava gli avverbia: nota del ridatturi – gli avivano già fatto scendere nu poco la gallera, ma davanti al putere dello stato apparatu bisognava fari tacimaci.

Finalmenti il Questuri si libbirò e Montilbano potè essere purtato alla su prisenzia.

Bonetti Alderighi (con un tono tra il cortese ed il paternalistico): “Caro commissario, come sta? Come andiamo nel suo feudo di Vigata?”.

M: “Ma veramente Vigata è paisi, era fiudale tanto tempo fa, dutturi… “.

BA: “Non faccia ironia a buon mercato Commissario, io – mi ripeto – l’ho fatta scomodare dal Feudo – rapprisintato dal suo commissariato; nota mintal-istituzionale del Questori – perchè alla mia attenzione sono giunte numerose segnalazioni di cittadini che denunciano lo stato verticistico nella gestione del suo ufficio dove le più elementari norme di organizzazione sono violate ed affidate alla sua anarchica volontà”:

Montilbano non sentiva un tale loqui libresco dalla littura del manuali di iusso amministrativi quanno iva all’Universitate e quindi dicise di prenneri tempo, per non sapiri né liggeri nè scriveri, per accapiri il tipo di accusazio che viniva facta ad Iddo.

M: “Dottore, scusi ma sono preso in confusione dalle sue parole – avribbi voluto diri dai turca; nota del ridattori – a cui non riesco ad associare alcuna cogente realtà positiva”.

BA: “Montalbano, qui le carte parlano chiaro: sta a me decidere se avviare un’indagine interna per vagliare la verosimiglianza della denuncia: ma mi faccia dire che le realtà portate alla mia attenzione potrebbero anche costringermi a passare le informazioni in mio possesso all’autorità giudiziaria”:

M: “La nebbia ancora deve diradarsi dal mio cervello: mi sembra di stare nel ‘Processo’ di Kaffa”.

BA: “Montalbano, non faccia citazioni letterarie: qui stiamo discutendo di atti amministrativi gravi”.

M: “Allora forse la citazione più appropriata è quella de “Il Castello” del medesimo autore?”.

BA: “Ancora con queste sue arti divagatorie, Montalbano, ma lo capisce che la sua situazione è sub iudice?”.

M: “Dottore, io sono costretto ancora a controcitare: da qualche secolo è uscito il “Dei delitti e delle pene” del milanise Beccaria e se io non sapio di cosa sono acusato non poti difendermi. E la ligittima difisa è ammisa dal primo seculi avanti Cristi”.

BA: “La smetta con questi sofismi da operetta, Montalbano, vuole I fatti? Eccoli: su carta intestata del Ministero della Repubblica italiana il sottosegretario Cav. Dott. Luigi Alfano mi scrisse che una denuncia presentata dal segretario del suo partito a Vigata contro le vessazioni subite da un suo iscritto Cav. Michele Imparlaglia da parte di un quivis de populo, non sono state prese da lei nella necessaria attenzione. Cosa ha da dire in sua disculpa?”:

M. “In primisi Dotturi Quisturi ‘Cellenza, il quivis de populi have un nome: è il ragiuniera Gerlando Pasquera che denuncio il Cavaliera Imparpaglia pirché isso ultimo stavi facendo un abuso arrichindo il suo alberghi di numeri stanza 50, con la costruzioni di una spa rigale e di un nuovo parcheggi. Chesto facindo sottraendo al Pasquera parti di un suo tirrino addiacenti. Io chiaramenti non prisi posiziona ne per chivissi, né per il cavaliera. Ma trasmisi il tutto alla Procura competenti. L’Imparpagli vinne da me e mi ricordò che mil’avrebbifatta pagare a chi di dovera. Eccse omnia”.

BA (imparpagliato, ura, Iddo; nota del ridatturi parianti): “Montalbano ma io ho avuto rapprintato una diversa realtà sostanziale ed è per questo che la feci chiamare con immediatezza… “:

M: “Vide che in Italia un prublema di rapprisintanza ci sta. Ora io me ne ritorno nel mi feudi e se lei mi rifà scassare la minchia per acquietari i suoi cumpagana di partitu io le scatinò addosso un tali polveroni che in confronto i rubli della liga lumbarda appariranno come pampuglia. Con ‘mutata stima”.

E Montilbano ascette dall’officio del questuri sbattindo la purta e lasciandolo mparpagliato come un gufo riali ‘mpagliato. E datosi che la prima parte della iurnata era andata a a catafottersi, pinso bine di dirigersi verso la tratturia di Enzo e doppo una mangiatina silinziosa faresi anche – prima di riturnari in officio a travagliari- nota mintali del satollo Muntalbani – una passiata mari mari fino allo scogliu piatto. Ecchest’è.

  

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