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“Questo Paese, dice, non ha bisogno di eroi ma di cittadini che facciano il loro dovere”

Paolo Borrometi, il  cronista trentaseienne che vive sotto scorta per le inchieste svolte sui clan mafiosi della Sicilia nel suo libro “Un morto ogni tanto” rilancia la sfida ai poteri criminali soprattutto a quelli invisibili

“Questo Paese, dice, non ha bisogno di eroi ma di cittadini che facciano il loro dovere”

“Se c’è una cosa che ho capito in questi anni di lavoro è che le mafie non uccidono mai da sole: c’è sempre qualcuno che le aiuta, direttamente o meno”: in queste parole che pesano come altrettanti macigni c’è la sintesi più dolente ma anche più efficace del suo best seller (“Un morto ogni tanto”, edizioni Solferino), Paolo Borrometi, il  cronista trentaseienne che vive sotto scorta per le inchieste svolte sui clan mafiosi più potenti e spietati della Sicilia sud-orientale – la sua “isola” che comprende anche il territorio virtuale di Vigata al centro dello straordinario racconto di Andrea Camilleri – rilancia, con più forza e con maggiore tensione civile, la sfida ai poteri criminali soprattutto a quelli invisibili: “Questo Paese, dice, non ha bisogno  di eroi ma di cittadini che facciano il loro dovere”. Grazie alle sue denunce e alla forza aggregante delle storie raccontate nel libro che si legge d’un fiato tanto è avvincente e coinvolgente, ce ne sono di più. E altri se ne aggiungeranno. Ne abbiamo avuto conferma nell’aula magna di Castel dell’Ovo, durante la presentazione del libro. Paolo schivo ma determinato ha raccontato poco la sua vicenda (“Vivo con una spalla menomata a seguito di una aggressione, con quattro condanne a morte da quattro clan diversi”) perché è contro “le narrazioni che vedono solo il male” ma tutti sanno che è stato costretto a lasciare Ragusa e a vivere a Roma dove lavora nella redazione di Tv 2000, ma non si ferma e ha intensificato il suo impegno con Libera e come presidente di Articolo 21. “Non sono solo”, ha tenuto a sottolineare, “i veri eroi sono quelli che indossano la divisa dello Stato”.

Se ha paura nessuno può dirlo, ma certo non lo dimostra. La mafia ragusana è disposta a tutto per metterlo a tacere e per farlo ha organizzato un attentato che è stato sventato in extremis dalla Procura di Catania e dalle forze dell’ordine.  Difronte alle minacce, però, Paolo non ha mai fatto un passo indietro, anzi ne ha fatto un altro in avanti e in questo tour letterario attraversa l’Italia non per farsi pubblicità ma per lanciare un messaggio di speranza: è duro vivere così, ma è bello vincere così.

E la vittoria sarà più a portata di mano se il fronte del coraggio civile sarà più compatto. Ad ascoltarlo a Napoli, a Castel dell’Ovo – invitato da Banco Bpm e dalla Fondazione Tosi – c’era, tra gli altri, anche l’ex Procuratore Nazionale antimafia Franco Roberti che ha idealmente abbracciato il cronista che con la sua battaglia ha dimostrato che i poteri criminali si battono con una assunzione di responsabilità collettiva. Tutti uniti contro il nemico: proprio come ha fatto Borrometi. “Le mafie sono state sconfitte – ha detto Roberti – quando lo Stato ha fatto lo Stato”. L’ex procuratore, evidentemente, si riferiva alla battaglia combattuta e vinta contro il clan dei catanesi, che è stato azzerato, ma non solo a questo: la legalità vince solo se è sostenuta e incentivata da un sussulto del  Paese (“Attuare la Costituzione è la vera sfida alle mafie”) e da una adeguata cooperazione internazionale che può essere più agevolmente raggiunta ripristinando la Commissione antimafia del Parlamento europeo.

E’ stata una bella giornata, bene organizzata dalla Fondazione Cristiano Tosi e da Banco bpm, e Paolo l’ha vissuta molto bene: tra la gente e con i colleghi. E’ legatissimo alla professione, ma gli manca la sua terra. Non lo dirà mai ma, forse, in cuor suo ha nostalgia degli esordi giornalistici quando i suoi pezzi erano rimborsati con tre euro e dieci centesimi. Che non erano sufficienti per campare, ma hanno preparato quella che negli anni è diventata una straordinaria avventura di impegno civile.

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