ilNapolista

Per non compromettere la rivoluzione della Juve, serve un campionato senza errori arbitrali

Essere sé stessi non è sempre facile e la juventinizzazione é un processo potente e celere

Per non compromettere la rivoluzione della Juve, serve un campionato senza errori arbitrali

«Sii te stesso! Tutto quello che stai facendo, pensando, desiderando, tutto questo non sei tu»

(Friedrich Nietzsche)

Essere sé stessi non è sempre facile

Innanzitutto, però, occorre diventare sé stessi. Maurizio Sarri ha trovato sé stesso fuori da un posto sicuro in banca, su campi di calcio di squadre scalcagnate, per poi vivere una tardiva ma esaltante ascesa, esibendo qualità all’Empoli, sperimentandole su una grande squadra a Napoli, vincendo un trofeo importante a Londra.

Essere sé stessi non è sempre facile. E la fine di una storia d’amore, per i napoletani, coincide con l’inizio di una nuova decisiva tappa della vicenda sarriana, con la conferenza stampa di ieri. Al di là del sarrismo ideologico, che non esiste, non è mai esistito, come afferma del resto lo stesso “comandante”, tanto da rendersi necessario chiedere alla Treccani più che una rettifica una cassazione della relativa voce, non si può pretendere dai tifosi napoletani di provare sentimenti diversi da quelli manifestati in queste ore.

Come non si potevano pretendere dal tecnico di Figline parole molto differenti da quelle pronunciate ieri, così in bilico precario, ma tutto sommato conservato, tra mezze verità, esigenze societarie, mera diplomazia. Anche se avrebbe giovato all’immagine del nostro (del loro) risparmiarci un brutto tentativo di avvelenare i pozzi con la sortita sugli sms dei giocatori del Napoli che sarebbero in contraddizione con certe dichiarazioni.

Ma, come dicevamo, essere sé stessi non è sempre facile (sebbene qualcuno potrà sentirsi a questo punto autorizzato a pensare che forse l’uomo in realtà era già questa cosa qui, da prima).

In fondo, razionalmente parlando, fin qui tutto bene. Naturalmente nel prosieguo ci vuole dell’altro, nel corso dell’anno indugiare su questa faccenda sarebbe noioso e chi ama il calcio, anche oltre il tifo, vuol soprattutto veder disputare un bel campionato, possibilmente senza eccessivi errori arbitrali, che metterebbero, forse, in difficoltà il neo allenatore della Juve, che comprometterebbero finanche una sfida che quella società pare stia lanciando a sé stessa con la promessa di una rivoluzione filosofica ed estetica che lascia perplessi in tanti, non solo juventini. Dunque, l’invito è a mettersi alle spalle le parole dette e quelle non dette, disertare il gran ballo dell’ermeneutica.

Resta indubbio che essere sé stessi non è sempre facile

E, dal punto di vista degli studiosi dei fenomeni, ci si lasci osservare come la juventinizzazione sia un processo potente e celere, se l’ex tecnico di Napoli e Chelsea appare così integralmente juventinizzato dopo solo poche ore dall’atterraggio a Torino. A Napoli era stato consentito al simpatico toscanaccio di essere sé stesso fino in fondo. Era facile, qui, essere sé stessi, nonostante il tirannico Aurelio, uomo odiatissimo da quella curva alla quale il “comandante” si inchinò. Ci si poteva permettere di stare a bordo campo col mozzicone in bocca, di dar del frocio al povero Mancini, apparendo così anticonformisti e politicamente scorretti, ma anche di non consentire a un professionista come Christian Maggio il saluto coi tifosi che meritava o di sfanculare una giovane giornalista.

Perché essere sé stessi forse non è sempre bello e auspicabile, se non sei Bukowski e forse non l’hai nemmeno letto davvero. Ma, se ci pensate, in fondo, era già tutto nel finale di quel grandioso film che è “C’eravamo tanto amati”, con gli ex partigiani Manfredi e Satta Flores che spiano il loro ex compagno di brigata Gassman tuffarsi in piscina nella sua villa, come, appunto, un ex comandante qualunque. Sennonché, noi vogliamo essere noi stessi, si, non vogliamo essere Manfredi e Satta Flores, quanto piuttosto prenderci la giovane Sandrelli e andarcene al mare. Sono sere d’estate bellissime, a Napoli. E chissà se Stefania non sia l’altro nome di quella cosa lì. Ci piace più di “palazzo”.

ilnapolista © riproduzione riservata