ilNapolista

Ode al piede sinistro di Fabian Ruiz

Due traverse e un gol nella nazionale under 21 dopo i 7 segnati nella prima stagione con il Napoli. Gli elogi di Marca per la trasformazione avuta con Ancelotti. Piccola indagine sulle traiettorie dell’andaluso alla ricerca di un antenato in maglia azzurra

Ode al piede sinistro di Fabian Ruiz

Galleria dei mancini napoletani

Un incrocio dei pali, una traversa, un gol da fuori area. Una partita che ha incantato Marca, il principale quotidiano sportivo spagnolo e cuore mediatico della passione per il Real. “Ancelotti ha plasmato un giocatore che è uno spettacolo. Fa tutto bene. È tornato dopo giorni difficili e lo ha fatto dalla porta principale. Ha guidato la squadra a centrocampo e non ha smesso di provare fino a quando non ha segnato un grande gol”. Parole dolci che nascondono un rimpianto: come ci siamo lasciati sfuggire Fabián Ruiz? Per 30 milioni, poi. Ve lo siete lasciati sfuggire perché Ancelotti, quello giovane, il figlio, conosce benissimo la Liga e a Siviglia se ne era innamorato. È lo stesso giocatore che una buona fetta di onnipionisti (neologismo: gli opinionisti che parlano di tutto credendo di saperne di tutto) bocciavano al buio invidiando la Roma che prendeva Pastore.

Il sinistro di Diego

Il sinistro di Fabián Ruiz meriterebbe un’ode. I mancini nel calcio o sono speciali o neppure ci accorgiamo che hanno nel sinistro il loro piede migliore. Al sinistro di Fabián Ruiz dovremo trovare uno spazio, se non vogliamo ancora dire un posto, nella storia del Napoli. Che di grandi mancini è piena. Il sinistro di Diego è stato unico. Inarrivabile. È stato l’unico piede sinistro capace di racchiudere in sé tutte le sfumature possibili. Era un’arma e una gioia, era un cannone e un pennello, era uno strumento di vendetta e allo stesso tempo di verità. Era l’arco di Robin Hood e il dito del Creatore nel Giudizio Universale. Era troppe cose differenti insieme. Era così tipicamente sudamericano ed era così sfacciatamente napoletano. Era straniero ma era noi.

La suola di Sivori

Altri mancini ci hanno riempito i giorni e gli occhi. Il sinistro di Omar Sivori, vent’anni prima di Maradona, era quello degli sfacciati. Con i calzettoni arrotolati in basso. Toccava  di punta e con la suola. Irrideva. Portava il pallone avanti, indietro, di nuovo avanti, di nuovo indietro. Dribblava due volte o tre, in certi casi quattro, nello stretto, in due o tre metri, da fermo. Toccava d’esterno verso il gol con il portiere avversario in uscita. Sivori non calciava, Sivori piazzava.

L’incrocio di Fonseca

Daniel Fonseca era lieve, il suo sinistro era al servizio di un calcio da ballerino, pilotato dalle anche, dal bacino, da torsioni e spostamenti su se stesso. Fonseca era il re del tocco in diagonale. Era sempre la sua prima scelta. La soluzione preferita. Spesso in coda a un contropiede. Ci parve il primo profeta di un primo Napoli decadente solo perché avevamo ancora Maradona nella testa. Ma quello era un Napoli che intorno a lui schierava Zola, Careca, Thern, Ferrara.

Díaz e Palanca

Il sinistro di Ramón Ángel Díaz era esplosivo. Di una dinamite che si accese più spesso al Partenio e a San Siro che al San Paolo, per la verità. Era un sinistro che conteneva un radar. Sapeva dove fosse la porta. Sapeva trovarla anche a occhi chiusi oppure con il corpo in disequilibrio. Alla stregua di un magnifico tiratore da tre del basket che la mette dentro pure con un tiro forzato. Uno dei gol più belli di Ramón Díaz fu a Tblisi in Coppa Uefa, spalle alla porta da 25 metri, si libera, si gira e calcia. Il sinistro di Ramón Díaz poteva portarci dove ci avrebbe portato invece solo quello di Maradona. Uno accanto all’altro avevano vinto il Mondiale giovanile nel 1979. Rivederli insieme a Napoli sarebbe stato splendido. Mi piace pensare che non fosse un caso avere Díaz al San Paolo nel pomeriggio dello scudetto, il 10 maggio 1987, anche se vestiva la maglia numero 9 della Fiorentina (come sberleffo della storia in campo c’era pure Claudio Gentile, quello che al Mundial 82 si vantò di aver fermato Diego, strappandogli la maglia).

Il sinistro di Palanca era piccino. Portava il numero 37. Si faceva fare le scarpe su misura (raccontano, poi vai a sapere). Cercava la porta dal calcio d’angolo. Spesso la trovava (a Catanzaro). A Napoli fece battere la testa contro il palo al portiere jugoslavo del Radnicki Nis, Stevanovic, tormentato per tutta la partita dalle traiettorie mancine da fermo. Ma rimase marginale. Il nostro fu un Palanca ridotto.

I difensori

Poi ci sono i mancini che giocavano in difesa. Il sinistro di André Cruz era eccessivo. Lanciava quasi come Krol e batteva le punizioni come  un dio. I terzini, poi. Il sinistro di Attilio Tesser era carico di promesse ma ce lo godemmo solo un anno sulla fascia sinistra. Venne quello di Luciano Marangon, addestrato a fare “la vacca”, cioè far passare il pallone lungo il fianco destro dell’avversario che gli stava di fronte, in modo da aggirarlo e andare a recuperare il pallone dall’altra parte. Il sinistro di Filippo Citterio era flemmatico e se ne fregava dell’estetica. Quello di Roberto Policano era ignorante e gustatore.

Parliamo di Dirceu

Per cercarne uno che ci riporti nei paraggi di Fabián Ruiz bisogna cercare fra i centrocampisti. Il sinistro di Asanovic poteva essere un buon paragone, ma a Napoli è stato fantasma. Il sinistro di Criscimanni era educato, cercava lo spazio profondo in cui infilare la palla (oggi i telecronisti direbbero imbucare) con un tocco verticale. Forse il sinistro più vicino a quello che Fabián Ruiz esibisce quando calcia in porta, lo aveva Dirceu. Con certe curve tracciate da lontano a cercare la porta, la palla radente il palo, il collo pieno o il mezzo interno. Quattro dei cinque gol di Dirceu in maglia azzurra sono venuti con il tiro da fuori. Nel tiro da fuori c’è sempre incoscienza o presunzione, sicuramente c’è una leadership, la certezza che non ci saranno sguardi storti dei compagni se la palla dovesse finire fuori. Fabián Ruiz ha un sinistro diverso quando imposta e scende palla al piede. Più educato e meno brutale. Ha un sinistro diverso quando accelera e strappa, perfetto per il gioco di Ancelotti pensato per andare oltre le ragnatele di passaggi. In alcuni movimenti del corpo – quando entra in contrasto a gamba larghe, come forbici aperte – oppure quando sterza, ricorda il francese Boghossian. Che però mancino non era.

Vantaggi del mancinismo

Fabián Ruiz ha giocato ieri la partita enorme che ha stupito la Spagna muovendosi nel 4-2-3-1 come uno dei due, posizione in cui gli onnipionisti non lo vedono. Sarà probabilmente il posto suo nel prossimo Napoli che nasce. Un Napoli fatto di molti mancini. Si dice che i mancini nella vita siano più abili a superare le difficoltà perché abituati a confrontarsi con oggetti e con un mondo pensato in prevalenza per i destrimani. Si dice che i  mancini pensano diversamente. Stabiliscono connessioni più veloci tra i due emisferi del cervello. I mancini sono più capaci nel confondere. Si comportano meglio nelle situazioni divergenti. Hanno spesso un pensiero originale. Il famoso sviluppo della parte creativa.

Poiché sta nascendo un Napoli di mancini – con l’aggiunta di James ai vari Ghoulam, Fabián Ruiz, Milik –  tutte queste suggestioni fanno sperare. Ovviamente al primo pareggio in casa sarà un Napoli con troppi mancini.

ilnapolista © riproduzione riservata