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E ma tu lo sai, noi tifosi siamo romantici

A Napoli siamo convinti che calciatori allenatori siamo contenti solo tra le nostre braccia, per il mare e la pizza. Ma la realtà è un’altra cosa

E ma tu lo sai, noi tifosi siamo romantici

 

“Forse perché ti credevo felice così/ proprio così/ tra le mie braccia”

Tutta questa storia di Sarri alla Juve mi ha fatto venire in mente le parole di un immortale capolavoro del grandissimo Mango, mai abbastanza compianto. Il famoso Komandante doveva essere felice solo tra le nostre braccia. Di meglio lui non avrebbe potuto trovare, e quindi come si è permesso di andare a cercare la felicità a Londra o a Torino? Non lo sa che qua teniamo le sfogliatelle? Per non parlare del sole e del mare?

In sostanza il problema dei tifosi napoletani, più che il tradimento, è lo sgomento che segue all’abbandono. Un po’ come quelli che magari metabolizzano una separazione ma poi accusano il colpo quando scoprono che l’amata si è messa con un altro. Poi è vero che in questo caso “l’altro” non è uno qualunque, ma uno che tutti tengono sui coglioni. Si dà il caso però che ai tifosi del Napoli stiano antipatici praticamente tutti, perché “come noi nessuno mai”. E quindi non si capisce dove sarebbe dovuto andare il povero Sarri per continuare a fare il suo mestiere.

Va bene, ma adesso usciamo dalla metafora sentimentale e parliamo di pallone. Qualche giorno fa ho chiamato un mio vecchio amico, malatissimo del Napoli e ivi residente. Lui mi ha illustrato una posizione che ritengo prevalente: “Credevo che ci fosse una buona parte di verità nei comportamenti di Sarri. Forse sono un illuso, un romantico. Ma che vuoi da me, nuie simm’ tifosi, il tifoso è romantico per definizione, e tu dovresti saperlo”.

Queste parole mi hanno indotto profonde riflessioni. So che sarebbe meglio riflettere su temi più alti, ma purtroppo a certe quote non ci arrivo. Insomma, il punto è il romanticismo. Il fatto è che noi tifosi saremmo pronti a inorridire se un calciatore se ne uscisse con una frase del tipo: “Ho fatto tre gol perché sono forte, ambizioso e tengo la cazzimma, e siccome gioco nel Napoli ho fatto vincere il Napoli, ma se stavo alla Juve era uguale, avrei goduto lo stesso come un riccio in calore”. No, una frase del genere non ha diritto di cittadinanza. Il nostro romanticismo impone di attenersi a un copione eterno: “Questa meravigliosa città… questo straordinario pubblico… posso provare certe emozioni solo con questa maglia…”. Perché noi siamo diversi. E fin qui va bene (peraltro, anche quelli di Bergamo sono diversi da quelli di Genova e quelli di Genova sono diversi da quelli di Milano, e quelli di Milano… E così via). Ma subito dopo la presunta diversità napoletana si ammanta di superbia e lascia trapelare la vera frase: “Siamo migliori, meritiamo di più”. Ah sì? E perché?   A me tutto questo sembra una sensazionale cazzata. Una sesquipedale cazzata, scriverebbe Max Gallo.

Però io non mi faccio capace. Anche perché noi pretendiamo che non solo i calciatori, ma anche  gli allenatori  e i presidenti condividano completamente i nostri ideali romantici. Scusate, ma perché pure gli allenatori e i dirigenti? Quelli devono mandare avanti la macchina, ragionare, essere lucidi, far quadrare i conti… Lì il cuore non c’entra e non deve entrarci.

Per spiegare la mia perplessità apro un’ennesima parentesi personale: vivo a Roma da molti anni, frequentando marginalmente un mondo che possiamo avvicinare a quello dello spettacolo. Quando prendo l’aperitivo con qualcuno più inserito, approfitto e lo interrogo. In genere al secondo bicchiere cominciano le verità. Sappiatelo: non ce n’è uno che si salvi. Quel mondo fatto di attori, registi, sceneggiatori, giornalisti, musicisti, produttori, scrittori e compagnia cantante è un microcosmo dominato dai più turpi difetti del genere umano: avidità, egoismo, opportunismo, egolatria, dipendenze da droghe alcol e sesso, sostegni politici, matrimoni di convenienza. Insomma, sono tutti infamoni, briganti, papponi, cornuti e lacché. Roba che Mengele a confronto è Ghandi. E proprio non si capisce come facciano, queste orrende persone, a trasmetterci sensazioni profonde, realizzando prodotti che diventano parte integrante della nostra formazione culturale. Evidentemente non è necessario che i creatori di emozioni siano pure delle belle persone. Conta solo che sappiano toccare le corde giuste, che abbiano quella micro-competenza necessaria a mettere in fila le note, le parole, le immagini. E allora perché è così importante la vera natura di chi ci fa battere il cuore? Non è un mistero che i Beatles facessero sognare milioni di ragazze cantando “I wanna hold your hand” e poi si lasciassero andare a notti di bagordi. Facevano bisboccia, giustamente. Voi, nei panni di John Lennon, sareste andati a letto presto?

Le librerie sono piene di biografie non autorizzate, andatele a leggere. Quelli che fanno la storia hanno sempre delle brutte storie, e non si sa perché Sarri dovesse fare eccezione. Anzi, si sa: perché altrimenti uccide il nostro romanticismo. Amici, vi sbagliate. Siete in buona fede ma mancate completamente il bersaglio.

Perché – e qui arrivo al punto – l’unica cosa veramente romantica è la partita. LA PARTITA, CAZZAROLA.

E’ quello che succede in campo, è quella cosa fatta di corsa, sudore, sputazzate, gomitate, orrende pisciate e geniali intuizioni, egoismi intollerabili e sublimi altruismi, stupefacente coraggio e insulsa vigliaccheria, preziosismi assortiti,  improvvise sospensioni del tempo, sofferenza, angoscia, ansia, disperazione e urla liberatorie. Scusate, ma non sono tutti elementi da romanzo? Per me quello che succede in campo è “Bigger than Life”, proprio come nei grandi film americani. Non penso che la nostra vita sia più emozionante del gol di Koulibaly alla Juve. E allora non chiediamo troppo. Chi ci regala brividi merita la nostra riconoscenza, anche se poi se ne va. Deve essere pure una brava persona? Ma chi guadagna sei o sette milioni all’anno è un diverso. E se noi tutti guadagnassimo quelle cifre forse non saremmo le anime belle che siamo. Forse diventeremmo anche noi delle brutte persone, con un’aggravante: non sapremmo fare gol al novantesimo in una partita decisiva.

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