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Quella maglietta restituita simbolo di pensieri illogici

La vittoria di Frosinone poteva essere archiviata in tanti modi. Ma sono convinto che le mele marce autrici di questi gesti stupidi verranno isolate

Quella maglietta restituita simbolo di pensieri illogici

La vittoria di Frosinone poteva essere archiviata in tanti modi. Il successo in Ciociaria permetteva la quasi certezza del secondo posto (diventavano otto i punti di vantaggio sulla terza a quattro giornate dal termine), ufficializzava la qualificazione matematica in Champions e consentiva di celebrare con i tre punti l’81°gol in serie A di un belga ormai da tempo naturalizzato partenopeo, Mertens.

Dries è l’unico calciatore, assieme a Cristiano Ronaldo, ad aver fatto almeno dieci reti e dieci assist in questa serie A (una “doppia doppia”, usando un gergo cestistico, riuscitagli già due anni fa) e raggiunge, per carità, solo per numero complessivo di reti segnate in campionato con la maglia del Napoli, Maradona.

UN GESTO INCOMPRENSIBILE

Questa partita verrà però amaramente ricordata per la contestazione di una parte della tifoseria napoletana alla squadra e, soprattutto, per la maglia di Callejon rigettata in campo, la stessa che il calciatore spagnolo a fine partita aveva regalato ai tifosi. Un’immagine che fa male perché totalmente insensata, ai limiti (e oltre) della buona fede di chi se ne è reso protagonista.
Resta un mistero logicamente irrisolvibile cosa si possa mai imputare in termini di mancato massimo impegno a una squadra che percepisce il quinto monte ingaggi della Serie A (94 milioni annui, dietro ai 240 di Juve, ai 140 del Milan, ai 116 dell’Inter, e ai 100 della Roma) e che invece è seconda in classifica. Un enigma ancora più complesso ricordando che il Napoli, assieme alla sola Juve, ha proseguito il suo cammino in Europa sino ai quarti di finale centrato così un abbinamento (col secondo posto) riuscito solo una volta nella sua storia quasi centenaria.
Mertens, uomo sveglio e scafato che pure da sei anni vive l’umorale realtà napoletana, come accaduto nel post partita di Frosinone, potrebbe rischiare di chiedersi e chiedere inutilmente il perché per anni e anni di questi atteggiamenti.
Che poi quella maglia ributtata in campo sia di un professionista eccellente come Callejon che, per triste coincidenza, la indossava per la trecentesima volta in partite ufficiali, è un’ulteriore beffa al buon senso. Si tratta di un calciatore ex Real Madrid e nazionale spagnolo, innamoratosi così tanto di Napoli da voler proseguire e forse concludere la carriera all’ombra del Vesuvio.

Anche per questo, quel gesto di pochi tifosi, a prescindere da se sapessero a chi appartenesse quella maglia e se ce l’avessero proprio con lui (molto improbabile), fa ancora più dispiacere la stragrande maggioranza sana della tifoseria. Se c’è qualcuno che sempre ha dato tutto negli anni in cui è stato qui, senz’altro si chiama Josè Maria Callejon.
Un episodio, quello di Frosinone, davvero brutto, che fa molto male a chi ama questa maglia e quel che rappresenta per i suoi tifosi: forse è uno dei momenti più deludenti e tristi dell’ultimo decennio azzurro, assieme alla sera di Firenze, al rigore sbagliato da Higuain contro la Lazio nel secondo anno di Benitez o dallo sciapito campionato della gestione Donadoni nel 2009.

MERITA DI PIÙ CHI SA AMARE USANDO ANCHE IL CERVELLO

Fatta eccezione per una fetta di sostenitori autoreferenziali e poco disposta al ragionamento, per motivi alcune volte forse non ispirati al rispetto della legalità, confidiamo che il tempo sia galantuomo: per fortuna le mele marce autrici di questi gesti stupidi e lesionistici verranno isolate.
Anche la maggioranza della piccola fetta di tifosi in buona fede, ma adesso legittimamente delusa per i risultati, convergerà nelle prossime settimane nel giudicare positiva questa prima stagione del nuovo ciclo a firma Ancelotti. Comprensibilmente una parte di loro attualmente non è “lucida”. Ma, una volta svanite le emozioni legate all’affetto, quello sì indelebile, per un grande allenatore che non può tornare e, soprattutto, scomparsa fisiologicamente la nostalgia per la spettacolarità della manovra avuta sino a un anno e mezzo fa, i giudizi saranno quasi univoci.

IL TEMPO AIUTERA’ A LENIRE LA DELUSIONE DI CHI È IN BUONA FEDE 

Bisogna capire definitivamente che il gioco di una squadra che sin quando (fine 2017) aveva quattro giocatori appena trentenni (Albiol, Hamsik, Mertens e Callejon) e un Ghoulam sano, ha fatto sognare per la spettacolarità della sua manovra, non può tornare. Non solo: era già abbondantemente finito nel corso dellscorso campionato.Un concetto statistico e non opinabile che si fa emotivamente fatica ad accettare e pochissimi menzionano.

Nella passata stagione, sulla scia di un grande inizio nelle prime undici giornate (e rinunciando in partenza a competere nelle coppe) il Napoli ha conteso e molto probabilmente meritato lo scudetto. Ha regalato cosi un sogno ai tifosi, mancato quest’anno, e lo ha fatto anche nei successivi due terzi del campionato 2017-18, durante iquali tuttavia i numeri, non le opinioni, dicono addirittura si segnasse meno che in questa stagione e avendo un rendimento in media punti molto simile a quello di quest’anno. Senza dimenticare che nelle coppe si perse in casa con l’Atalanta settima in Italia, con lo Shaktar Donestk e col Lipsia sesto in Germania e glissando sul campionato concluso con ventidue punti nelle ultime dodici giornate, anche un spettro di analisi ben più ampio testimonia che per tutto il 2018 non sia quasi mai esistito un Napoli divertente e dal super rendimento .
Un ciclo era però in tutta evidenza finito, come aveva ben capito per primo Sarri, e, quest’anno, con giovani come Verdi, Younes, Meret e Fabian si è ripartiti per fare il primo passo di una gestione che potesse rivelarsi a breve vincente.

LA LOGICA SMARRITA

L’esperienza, la minima conoscenza delle varie dinamiche calcistiche internazionali e, soprattutto, un senso di logica che alcuni tifosi hanno smarrito, impongono che, se non arrivano a Napoli emiri o magnati stranieri, non si potrà mai investire come (e nemmeno un po’ meno) chi ha fatturati e colossi industriali alle spalle ben diversi da quelli partenopei, pena il fallimento, stavolta reale, in pochi anni. Pure se alla presidenza ci fossero uomini più simpatici, capaci -sicuramente De Laurentiis, ha umanamente commesso in questi anni anche vari errori, di cui in molti in casi sarà il primo a essersi pentito- e “tifosi” di quello attuale, poco cambierebbe per un bacino come quello napoletano, quanto a capacità imprenditoriali di investimento in un calcio moderno e complesso come quello del ventunesimo secolo.

E se fosse invece una questione personale col presidente, ipotizzando anche per soli motivi “puliti”, sarebbe giusto, o sempre a rigor di logica, bisogna tifare sempre e comunque per la propria maglia, al di là di chi la temporaneamente la indossi, in qualunque ruolo esso sia?

Anche perché i vari campionati insegnano che chi lavora bene (Atletico Madrid, Borussia Dortmund, Monaco, Leicester) possa in ogni caso vincere in campionato e essere protagonista in Europa.
Il vero tifoso, soprattutto quello che si vanta di tifare per una maglia identitaria come quella del Napoli, sa aspettare, per quanto possa essere stanco di arrivare sempre e solo a un passo dalla vittoria: soprattutto perché il suo amore, almeno così dovrebbe essere e così lui stesso lo autodescrive, va “al di là del risultato”.

Napoli, per fortuna, di eccezionali sostenitori dell’identità partenopea ne ha tantissimi.

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