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Fiorentina-Genoa è lo specchio dell’Italia, oltre il biscotto

La Serie A si chiude nella mestizia di Firenze. Passivi, arrangiati, salvi ancora non si sa per quanto. In attesa che qualcuno da fuori (l’Inter) ci salvi

Fiorentina-Genoa è lo specchio dell’Italia, oltre il biscotto

Una volta, quando il Mulino Bianco era una cosa seria e le sue sorpresine avevano un inconfondibile profumo di gomma edibile, si chiamava “biscotto”.

Non rimuoveremo Fiorentina-Genoa dalle nostre coscienze riducendola a quella parvenza di poltiglia noiosa che pur è stata, senza invece farne un paradigma del calcio italiano attuale. Un bel paradigma, oggigiorno, non se lo si lascia scappare così, è un tempo questo che rastrella insegnamenti nella ghiaia anche se poi nessuno impara niente, alla fine.

E Fiorentina-Genoa-zero-a-zero è la chiosa neorealistica del campionato di serie A, molto di più dei fuochi d’artificio di Inter-Empoli.

A San Siro, al 90’ e oltre, ballavano ancora una qualificazione Champions e una salvezza, e giù pali, auto-traverse, rigori parati, portieri falciati a centrocampo. Mentre a Firenze si giocava di calcio riflesso, tanto il destino lo scrivevano altrove e… sticazzi.

Una partita “sticazzi”

Proprio così: una partita da “sticazzi” nella sua accezione più strafottente e non meglio traducibile. La Fiorentina e ancor di più il Genoa avevano teoricamente la possibilità di farsi male, ma male davvero, andandosi a prendere la salvezza con la forza nello scontro diretto. Infilandosi nella strettoia morale che lo sport nel suo filone più epico adora ogni tanto metter dinanzi ai suoi protagonisti: ora o mai più, tutto o niente, vincere o morire.

È una storia che ci raccontiamo sempre volentieri e – se ci fate caso – sempre più spesso. Perché in fondo è nell’esasperazione emozionale e sentimentale che lo sport ci viene confezionato e venduto oggi, non certo per la pavida attesa di un risultato purchessia.

E invece domenica sera, mentre tutti abboccavano all’esca della “diretta-gol” dai mille finali aperti, questo bendiddio di retorica a Firenze è finita dritta nel colino del pragmatissimo sticazzi di cui si diceva poc’anzi: faccia l’Empoli, noi ci si adegua.

Lo chiamerebbero “calcolo” oppure “biscotto”

Altri, in verità tutti, lo chiamerebbero “calcolo”, ed ecco appunto il “biscotto” che in teoria farebbe pubblicamente schifo ma che nella prassi è da tutti accettato nella sua inevitabilità. Il combattimento in contumacia. Un sottrarsi così “italiano” – direbbe un po’ schifato lo Stanis La Rochelle di Boris – ma anche tanto confortevole.

Con le radioline sintonizzate sugli altri campi (se davvero le usassero ancora), da Montella in tribuna a Prandelli in panchina, tutti a chiedersi cosa facesse l’Empoli, al limite dello “scusi chi ha fatto palo?” di fantozziana citazione. Invece, semplicemente, di giocare a pallone. Fino a produrre una distonica partita a distanza, con la Fiorentina ridotta a passivo sparring partner dalla sua posizione di vantaggio in classifica a difesa del punticino di matematica salvezza, e il Genoa impallato a giocare – letteralmente – di sponda contro l’Empoli. In un balletto di azione a reazione con gli avvenimenti di San Siro.

La cronaca è proprio questa: subito segna il Sassuolo, e segna il Milan due volte, l’Atalanta è fuori dalla Champions, ma il Genoa è sempre in B se non segna l’Inter. Il Genoa aspetta. A Roma, vabbè, è tutto un addio di De Rossi, ma nel frattempo l’Atalanta pareggia e l’Inter segna, e ora è l’Empoli che retrocede.

Al Franchi non cambia nulla

passaggio in orizzontale, fallo laterale, fallo a centrocampo, retropassaggio, sbadigli. Senonché a Milano pareggia l’Empoli, e Prandelli reagisce a Firenze: dentro Sanabria al posto di Pedro Pereira e 4-3-1-2 con Pandev trequartista.

Manco il tempo di far valere il tentativo, che l’Inter segna di nuovo. Prandelli, appena avuta la notizia, risponde ancora: esce Pandev, entra Guntur, si passa ad un più consono 5-3-2, con 5 difensori centrali, il classico pullman davanti alla porta. Solo che la Fiorentina non ci pensa nemmeno a svegliare una partita in coma farmacologico, ed è nella comunione d’intenti che una partita mai cominciata si spegne definitivamente.

Altrove, tutt’intorno, segna l’Atalanta, De Rossi dice ancora addio, Icardi sbaglia un rigore, il Milan si fa rimontare dalla Spal. E pure quando l’Inter segna il 3-1 annullato per un fallo di un attaccante sul portiere… a centrocampo!, e l’Empoli si butta tutt’intero anima compresa nella porta di Handanovic fermandosi appunto su Handanovic e le sue traverse, Fiorentina-Genoa resta quell’immutabile dispendio di alcuna energia che al 90’ si riciclerà in una tempesta di sospiri di sollievo.

Noia manifesta dei tifosi

L’arbitro chiude il match appena il cronometro glielo consente, per noia manifesta. I tifosi viola esultano, e in un cortocircuito di serenità indotta esulta pure Preziosi, il presidente che a metà campionato ha venduto il capocannoniere e ora si ritrova con un piede nel baratro.

A Milano il tormento dell’Empoli, però, non è ancora terminato, e se davvero questo romanzo l’avessero scritto con un pizzico d’ironia, alla fine Caputo o Farias un pallone l’avrebbero effettivamente messo in rete. Le radioline del Franchi sarebbero esplose. E invece no, stiracchiata quanto volete ma la morale vien via col minimo sforzo: Genoa in A, Empoli in B, la morte della meritocrazia.

Ed è il campionato italiano tutto intero che si chiude nella mestizia di Firenze. Quello che la Juve ha vinto a settembre, che il Napoli ha contribuito a “uccidere” mettendo distanze abissali tra sé, lo scudetto e il terzo posto, quello che ha mandato in B il Chievo ancor prima di farlo scendere in campo e che alla fine ha tentato, riuscendoci in parte, di farsi guardare sottraendo le ultime giornate alla danza delle partite finte.

Fiorentina-Genoa-zero-a-zero è un paradigma di quel che ancora siamo, non solo una partita: passivi, arrangiati, salvi ancora non si sa per quanto.

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