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Ho continuato a tifare Juventus nonostante Caressa e il pessimo spettacolo Sky

È giusto il “siam tutti juventini” ma lo sbracamento no. Il discorso di Agnelli, l’enfasi di Ilaria D’Amico ormai logorata dal ruolo, poi la telecronaca

Ho continuato a tifare Juventus nonostante Caressa e il pessimo spettacolo Sky

Non riesco a calarmi nei panni del tifoso

Premetto subito: la sera della Champions League ho tifato Juventus. Del resto non mi ritengo neanche un tifoso del Napoli; e credetemi, non per snobismo, ma perché sono fatto così, sempre teso a capire anche le ragioni dell’altro fino al disorientamento e alla confusione, non riesco a calarmi in un atteggiamento così totalizzante ma anche liberatorio, come l’esser tifosi. Lo ammetto: è un mio limite e, quindi, per il Napoli nutro un sentimento di affetto e vicinanza, da compagno di viaggio che crede di sapere quanto sia duro mettere in piedi nel sud qualsiasi impresa, vieppiù un’impresa complessa come una società di calcio.

Ecco, questo è il “mio” contesto, quello in cui mi muovo quando approccio una partita. Ebbene, nonostante ciò, mi ha disturbato, e non poco, tutta la messinscena di Sky, nella serata di Juventus-Atletico Madrid. E non condivido lo scettico distacco «così va il mondo…la gente vuole il sangue, ossia la parzialità più spinta e proterva e Sky, con scelta consapevole e lungimirante, gliela dà, sul modello dei talk “politici”, si fa per dire», con cui Massimiliano Gallo ha liquidato la sollevazione del popolo, evidentemente ed un po’ frettolosamente classificato, anti-juventino, dopo la infelice, a mio modesto avviso, serata del team di Sky (al netto dei commentatori tecnici in senso stretto anche palesemente juventini, vedi Del Piero, Pirlo, che denotano, invece, un lodevole distacco tecnico nell’analisi che stride fortemente con la filosofia della serata televisiva).

Infatti la scelta del team di Sky è stata all’insegna in una serata clou per il calcio italiano “ siam tutti juventini”. E si può capire. Una società italiana che ha acquistato il più grande calciatore vivente si trovava ad uno snodo decisivo della sua recente storia: da un lato il baratro, con l’esclusione e, quindi, il conseguente crollo in borsa del titolo e la perdita di 270 milioni di euro, e, dall’altro, la strada spianata verso l’obiettivo agognato ed inseguito da anni. Sì, siamo tutti juventini, dunque, e avanti tutta.

Da qui allo sbracamento il passo è stato brevissimo

Bene, lo penso anch’io prima di mettermi davanti alla tv. Ma da qui allo sbracamento bianconero, il passo è stato brevissimo. Lasciamo perdere l’entrée della conduttrice che, ormai, a me sembra logorata dal ruolo, il cui attacco enfatico senza la sostanza di un reale pensiero lascia un vertiginoso senso di vuoto (imbarazzante, a dir poco, la velocità con cui è stata archiviata in una precedente trasmissione la papera di Buffon che è costata l’eliminazione al Psg).

Andrea Agnelli come Giovanni XXIII è francamente troppo

Inorridisco, poi, quando vengono intonate da solenne sottofondo le parole di Andrea Agnelli pronunciate in una occasione esclusiva per il popolo di sicurissima fede bianconera (se ho colto bene: gli occhi di uno juventino quasi sempre incrociano gli occhi di un altro juventino in una poetica retorica che rimanda a Giovanni XXIII e alla famosissima carezza in nome del Papa ai bambini nella notte della sua investitura). Ecco un presidente così divisivo come Andrea Agnelli, che ha fatto di tutto per essere tale (mi ricorda un po’ Renzi, sotto questo aspetto), non può, di punto in bianco, diventare l’emblema unitario del popolo calcistico del bel Paese. Questa mi è sembrata la vera buccia di banana di tutta la serata.

Poi c’è Caressa che ha recitato, secondo il copione, la sua parte. Sembrava partecipare alla partita come dodicesimo giocatore e chiamare i compagni con nomi e nomignoli, come da uomo in campo. Insomma, come ho detto, già avevo deciso di tifare per la Juve e l’ho fatto con passione per tutta la partita, nonostante la gestione della serata da parte del team di Sky abbia fatto di tutto per farmene pentire. Una doppia sofferenza, per l’incontro calcistico e per il disagio di essere associato ad scadente sceneggiata.

Dice il mio amico e collega Massimiliano: sono le regole del marketing televisivo, basta seguire uno dei tantissimi talk televisivi dedicati alla politica (va sempre ricordato che siamo uno dei pochi paesi occidentali in cui abbondano e che Walter Siti, scrittore ed ex dirigente televisivo, li definisce un genere di spettacolo che non ha niente a che vedere con l’informazione: sono un po’ reality, un po’ soap, un po’ luna park, tirassegno per la precisione, oscillano tra improvvisazione e commedia). Ebbene per me si è trattato di un pessimo talk show, secondo le regole proprie di questo tipo di spettacolo. Tutto qui, nulla di più e senza gridare allo scandalo.

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