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Repubblica sottolinea il diverso atteggiamento sul razzismo di Juventus e Chelsea

«La Juventus fa ricorso contro la curva chiusa per cori discriminatori, il club inglese vuole portare i tifosi razzisti ad Auschwitz».

Repubblica sottolinea il diverso atteggiamento sul razzismo di Juventus e Chelsea

Due approcci diversi

La notizia più succulenta di ieri riguarda senza dubbio il ricorso della Juventus respinto dalla Corte d’Appello Sportiva. Confermata la giornata di squalifica della Curva Sud, anzi i turni senza gli ultras diventano due (con pena sospesa per il secondo match). Noi del Napolista ci siamo esposti chiaramente sulla faccenda, si tratta di un segnale importante: il razzismo da stadio non è stato depenalizzato, anzi la seconda giornata di squalifica per la Curva Sud dell’Allianz Stadium rappresenta la giusta risposta alla caduta di stile del club bianconero, che ha addirittura fatto ricorso per scongiurare la chiusura del suo settore più caldo.

Ebbene, anche oggi c’è un richiamo a questo approccio del club bianconero. Nell’editoriale che apre la sezione Sport, Maurizio Crosetti traccia le differenze tra il mondo-Juve rispetto a quanto è avvenuto in casa-Chelsea. Leggiamo: «La Juventus, sotto ricatto ultrà da anni, fa ricorso contro la chiusura della curva per razzismo e invece di una giornata ne prende due. Il Chelsea di Roman Abramovich, russo di origini ebraiche, ha in mente di portare i tifosi razzisti ad Auschwitz per rieducarli. Comunque lo si prenda e comunque lo si guardi, il bieco razzismo da gradinata è una faccenda non solo grave ma insoluta, forse insolubile. A che punto siamo, noi italiani del calcio? Si è tornati all’epoca delle caverne eppure sembravamo all’avanguardia, si era fatto strada anche quel concetto un po’ contorto di discriminazione territoriale, ma insomma l’attenzione al problema pareva viva».

Due mondi distanti

Crosetti ne fa una questione di pena rieducativa: «La Juventus ha già avuto problemi col suo tifo più cupo. Persino un’audizione all’antimafia di un signore che di cognome fa Agnelli. E che nella ricerca di una vasta dimensione europea deve fare i conti con una zavorra da terzo mondo. Serve davvero la responsabilità oggettiva? Forse l’intera chiusura di un settore non fa che incattivire la gramigna (torneranno, quei dementi, la volta successiva a berciare ancora più tetri e convinti) e non fa che amareggiare gli innocenti: pagano, e non possono andare alla partita».

«Il dibattito – conclude Crosetti – verte sul senso della pena. Ci sono curve che si fanno squalificare apposta perché magari la ’ndrangheta ha perso il controllo del merchandising fuori dallo stadio, allora si oltraggiano i napoletani e addio al Genoa a porte aperte. Qui, più che chiudere una curva bisognerebbe riaprire i manicomi. Oppure fare profonda chirurgia da stadio, mettendo in conto ritorsioni, spedizioni punitive e forse qualche morto ammazzato, qualche suicida molto sospetto. È già accaduto, dunque può accadere ancora. O forse ha ragione Bruce Buck, il presidente del Chelsea: «Un razzista non migliora se gli neghi l’accesso alla curva, ma se vede cosa fu il nazismo forse cambia idea».

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