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Con l’alibi (falso) del protocollo, la casta arbitrale ha ucciso il Var

Il sabotaggio è perfettamente riuscito nel nome di una modifica che persino il presidente di categoria Nicchi nega: «Non è cambiato niente dallo scorso anno»

Con l’alibi (falso) del protocollo, la casta arbitrale ha ucciso il Var

“C’è scritto nel protocollo”

“C’è scritto nel protocollo” is the new “l’ha detto la televisione”. È protocollo l’ultima parola che si è affacciata nel calcio italiano (e non solo). Il protocollo è diventato il nuovo salvacondotto di coloro i quali cercano ancora di indorare la pillola e cioè che il Var è di fatto scomparso dalla Serie A. E, a loro avviso, anche da altri campionati, da tutto il calcio mondiale. Perché, ovviamente, c’è scritto nel protocollo. Poi, però, a ben vedere non è proprio così visto che il presidente degli arbitri Nicchi dice forte e chiaro che “non è cambiato nulla dall’anno scorso”. Eppure il Var di fatto non esiste più.

Che cosa stabilisce questo benedetto protocollo? O meglio, qual è il concetto che sta passando a proposito di questo fantomatico nuovo protocollo? Che, fondamentalmente, tutto rientra nella discrezionalità dell’arbitro. Non accetta il principio che un arbitro davanti alla tv possa vedere meglio del collega che è in campo e che quindi può vedere l’azione una e una sola volta. Il Var può intervenire solo in caso di “chiaro ed evidente errore”. Come scrive l’ex arbitro Marelli:

Il legislatore (l’Ifab, non gli arbitri italiani) ha voluto limitare il più possibile l’utilizzo dello strumento cercando di garantire all’arbitro centrale la propria discrezionalità, evitando che un altro arbitro, dotato di altra percezione e differente metro di giudizio, potesse creare un conflitto di competenze in campo.

“Chiaro ed evidente errore”

Eppure di “chiaro ed evidente errore” si è trattato a Milano nel corso di Inter-Parma. A dire il vero due volte: nel caso del fallo di mano in area nerazzurra e nel caso dell’eurogol di Dimarco: al momento del tiro, c’è un calciatore del Parma in fuorigioco che ostruisce la visuale di Handanovic. È proprio Marelli a spiegare che il protocollo non c’entra niente. Ci sono gli estremi per intervenire, ma non si interviene. In realtà anche nel caso del fallo di Gagliardini.

Perché – aggiungiamo noi – è in gioco la sacralità della figura dell’arbitro. Che non ammette di essere detronizzato, sia pure da un collega. Perché il punto non è il collega, ma è la macchina. Al di là di qualche dichiarazione di facciata, la categoria è ben compatta nel tenere la porta chiusa e a non concedere più uno spiffero. Perché è chiaro a tutti che altrimenti prima poi quella porta sarebbe scardinata e il ruolo degli arbitri progressivamente e inevitabilmente ridimensionato. Stoicamente resistono e persino con risultati brillanti. Chissà perché, invece, in altri sport arbitri e tecnologia convivono benissimo.

I tacchini non voteranno mai per il Natale

La casta arbitrale difende sé stessa. Capita ogni giorno in Italia, per tante categorie. Un sabotaggio, come già avvenuto lo scorso anno. Si finisce col dare ragione persino a quale simpaticone (è ironico, se non si fosse capito) di Gasperini per il fallo su Ilicic commesso sulla linea dell’area – e quindi da rigore – invece sanzionato con la punizione ai danni della Spal. Lì il Var sarebbe potuto intervenire. Per usare una frase spesso utilizzata in politica, dare agli arbitri la decisione di appellarsi o meno al Var è come concedere ai tacchini la possibilità o meno di festeggiare il Natale.

Stavolta, però, troppe sono le polemiche. Nemmeno Nicchi, il numero uno degli arbitri, ha potuto esibirsi nel suo pezzo forte: la difesa sperticata della categoria. Ha dovuto abbozzare. Ha ammesso gli errori. E ha persino chiarito che «c’è un protocollo chiaro, e non è cambiato nulla dallo scorso anno,  se gli arbitri lo seguono, è ok, se sbagliano non seguendolo è un errore. Il Var ha indicazioni chiare su come essere utilizzato, e purtroppo non cancella tutti gli errori…». La frase clou è: “se gli arbitri lo seguono, è ok”.

E ha confermato gli errori sia di Inter-Parma sia di Udinese-Torino con un gol inspiegabilmente annullato ai granata perché il non fuorigioco è stato segnalato troppo frettolosamente. A poco serve quando la base è ostile. Un’ostilità che non è filosofica, concettuale, come quella espressa qualche settimana fa da Michel Platini. È un’ostilità con un fondamento molto più pratico.

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