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Carletto è l’uomo che guardi quando sei nella merda. Ti indicherà la strada

L’atto d’amore di un tifoso del Milan verso Ancelotti. “Cari amici del Napoli, tenetevelo stretto Sono sicuro che lo guarderanno in 80mila, non in undici”.

Carletto è l’uomo che guardi quando sei nella merda. Ti indicherà la strada

Quando sei nella merda lo cerchi con lo sguardo

Carletto – perché per un milanista, lui sarà sempre e solo Carletto, come il tipo che abita al portone accanto e con cui bevi il caffè al bar ogni mattina, un amico ormai pur non conoscendolo – non è un allenatore. Carletto è la panchina, lo spogliatoio, le sagome per allenarsi sui calci di punizione, è la sacca con i palloni, le borracce dell’acqua. Carletto è l’incarnazione dell’uomo verso cui ti giri, quando – scusate il francesismo – sei nella merda. Perché l’anno prossimo qualcuno, in quello sgradevole frangente che capita anche ai più forti almeno una volta nella vita, cercherà Cristiano Ronaldo, guardandolo con gli occhi di chi ti chiede di aprirgli la confezione delle olive, perché il tappo è difettoso o la guarnizione troppo rigida.

Sa farsi voler bene senza alzare la voce

Altrove, dalle vostre parti, state certi di una cosa: non saranno in 11 a cercare Carletto ma 80mila. Perché lui sa farsi voler bene ma sa farlo con il piglio dei forti: ovvero, di chi non deve alzare la voce o mostrare i pugni per farsi rispettare. Me lo ricordo, quando ancora allenava il mio Milan: durante le partite, se succedeva qualcosa di storto o c’era un fallo troppo duro subito da uno dei nostri o se ci mangiavamo un gol clamoroso, gli occhi di tutti si giravano verso la panchina. Perché volevi vedere come reagiva Carletto a quanto era accaduto. Da lui non cercavi numeri da circo come il buon Antonio Conte a Stamford Bridge, né gesti taumaturgici in grado di guarire il grande malato come faceva Mourinho: no, da lui volevi le mani sulla faccia, una scrollata di spalle, un pugno chiuso a brandire l’aria per dire di non mollare. Un applauso a chi aveva sbagliato il gol, anche se in cuor suo l’avrebbe preso a calcio nel culo per tutto Piazzale Axum.

Le poche parole della provincia

Perché Carletto ha la calma dei saggi. E, soprattutto, le poche parole della provincia e del duro lavoro. Di chi ha corso tanto e menato di più e sa che il fiato serve, non va sprecato. Perché altrimenti, quando conta, quando a tutti tremano le gambe e la lingua lecca le stringhe degli scarpini, non ne hai più. E un medianaccio non può permetterselo. E il suo non è lo spirito da mediano di Ligabue, non c’è nulla di eroico o epico nel suo essere normale e lottatore: lui è l’uomo dalla voce bassa e dal sorriso contagioso, tanto è raro vederglielo spuntare sul viso.

Quando cantò, stonatissimo, a San Siro

Dopo la vittoria contro il Liverpool ad Atene in Champions League nel 2007, ci fu una festa a San Siro. Giocatori in campo con la coppa, giro d’onore e cori lanciati dalla Sud e ripetuti da tutto lo stadio. Carletto, penso al termine di una delle battaglie più epiche della sua vita contro la timidezza e la discrezione, prese in mano il microfono e dopo aver ringraziato i tifosi, li invitò a cantare il coro che lui sentiva maggiormente nel cuore, quello che a suo dire dava la carica a lui e alla squadra nei momenti più duri. Fu lui a lanciarlo, quel coro. “Forza lotta, vincerai, non ti lasceremo mai…”, un coro semplice.

Penso in vita mia di non aver mai sentito nessuno con meno senso del ritmo e più stonato. Ma la gente impazzì letteralmente. Non per il coro, per la coppa, magari per qualche birra di troppo al Baretto di Andreone prima di entrare allo stadio. Ma perché lui, l’uomo che ha risolto senza dibattito l’annosa questione di morettiana memoria riguardo l’essere più notato se si è presente o meno, aveva rotto gli indugi, preso il microfono e trattato San Siro, che era casa sua e sempre lo sarà, davvero come casa sua. Come si fa con gli amici, quando un bicchiere di troppo ti fa tirare fuori vecchi cd e cantare canzoni improponibili di troppe estati fa ed è bello farsi assalire dai ricordi e dalla voglia di stare insieme.

Quando le cose andranno male, cercate Carletto con lo sguardo

Carletto è così, uno che non anima le feste, uno che non sarà mai l’istrione del gruppo, uno a cui non servono gesti delle manette o salti da circo equestre. Ma uno che sa farsi volere bene, perché in silenzio e a modo suo, sa volere bene come solo i taciturni e timidi sanno fare. Siete fortunati, amici miei, tenetevelo stretto. Soprattutto, quando arriverà il primo pareggio inatteso in casa. O, addirittura, la prima sconfitta. Quella che “brucia” più di tutte e sembra mandare in pezzi l’intero castello di certezze che ti eri costruito in mente, tipo quella dell’Arsenal contro il Derby County raccontata in Febbre a 90. Un incubo, insomma, calcisticamente parlando. Cercate Carletto con lo sguardo, in quel caso. Saprà lui come porvi la proverbiale mano sulla spalla. E tu, Carletto, se mai leggerai queste righe, sappi una cosa: un pezzo di cuore della tua vecchia casa, sarà sempre con te, lì seduto. Perché ci sono affittuari e affittuari. Tu sei di quelli a cui si dice di tenere le chiavi. Sperando che non arrivi mai il giorno della disdetta. E, nel caso, che arrivi in fretta quello del ritorno. In bocca al lupo Carletto, cuore del Tigre.

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