ilNapolista

Speriamo che omaggi del genere a Pino Daniele non si ripetano più

Pino meritava maggiore attenzione, meno superficialità, più professionalità. Solo nel finale, con Avitabile, Senese e Gragnaniello si è avvertita la giusta atmosfera

Speriamo che omaggi del genere a Pino Daniele non si ripetano più

Il riscatto nel finale

Alla fine, si è fatto assai tardi, ma sono arrivati i ragazzi nostri, e molto di ciò che c’era stato prima è stato azzerato. L’omaggio era vero, sentito, e Avitabile, alla veneranda età che ha, ancora invaghito di James Brown e Fela Kuti, ci ha messo finalmente un po’ di groove e ha ricordato i tempi dei Batracomachia, il progressive partenopeo da cui molto della stagione successiva prese avvio. Con lui il totem vero della serata, Senese, dopo di lui l’ultimo trovatore di quella generazione che si ciba di vicoli e sguardi della città porosa. Enzo Gragnaniello.
Per il resto, lo si è detto e ribadito sui social, assecondando lo spirito cazzaro, forse anche i nostri narcisismo e autostima, e facendo perciò incazzare alcuni di quelli che c’erano andati, ma sempre – credeteci – volendo bene a Pino, e quindi alla sua considerazione per la fatica e la qualità, lo spettacolo è stato indecente per superficialità degli interpreti, non solo gli italiani, sciatteria, disorganizzazione, taglio.

L’assoluto non snobismo di Pino

Attenzione, non è stata tanto la scelta degli artisti, perlopiù detestati da chi scrive e per nulla associabili all’arte del miglior Daniele: di molti di essi l’autore di “Napule è” era, piaccia o meno, davvero amico – penso a Ramazzotti e Jovanotti, Baglioni ma pure ad alcuni ragazzini ieri presenti lontanissimi dal genio di Nero a metà. Pino, non ci piacerà, oppure no, era così. Si mischiava con i melodici italiani, gli pseudorappers, duettava con Pavarotti dopo aver detto qualche anno prima che avrebbe preferito morire, scriveva canzoni talvolta anche brutte per Giorgia e Irene Grandi, usciva con Antonacci. Nel suo assoluto non-snobismo prestava le sue chitarra e voce a un Gigi D’Alessio e ne veniva fuori una bellissima canzone.
Non è quello il punto. E nemmeno che molti di quegli artisti non erano degni di cantarlo. Pino Daniele, prima ancora che Napoli, meritava una maggiore attenzione, meno superficialità, più professionalità: non c’è stata né da parte di chi ha organizzato né da parte degli artisti esibitisi. E la Rai ci ha fatto una pessima figura. Si spera che “omaggi” del genere non si ripetano e si lasci vivere la memoria dove deve conservarsi, forse nei luoghi più inaspettati. Nel giovane che si cimenta col trap e poco o nulla sa e vuol sapere oggi di artisti del passato, nell’argento vivo della strada che sa quando recuperare l’anima di un suono, di una sensibilità, di un approccio, e proporla nei modi appropriati al tempo nuovo facendone futuro.
ilnapolista © riproduzione riservata