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La lingua di Milik come Einstein e i Rolling Stones, in un calcio che non mi piace

Commento alla 37esima giornata di Serie A: il settimo scudetto degli ergastolani, i cori razzisti a Genova, Chiellini e il giallo a Milik, dopo l’esultanza.

La lingua di Milik come Einstein e i Rolling Stones, in un calcio che non mi piace

Falli da dietro – Commento alla 37esima giornata del campionato di Serie A

Sette.
Come i Magnifici di Yul.

Come i Samurai. Che è poi lo stesso film.

Sette.
Per i Pitagorici il numero della perfezione ciclica.
Associato geometricamente al cerchio.

Nella smorfia napoletana è il vaso.

La sua fragilità e la sua delicatezza.

La sua capacità di contenere ciò che probabilmente andrebbe perduto.

Conservare nei vasi i resti dei propri defunti. Per mantenerne intatto lo spirito.

Contenitore di un amore. Il bacio. Che a Napoli è appunto “vaso”.

I sette re di Roma e le sette meraviglie del mondo.

Sette.

A me vengono in mente i sette Tours vinti da Armstrong.
E poi revocati.

Le differenze tra Europa ed Italia

Non brillano i sette scudetti ergastolani.

E i dubbi, i malumori, le polemiche che questo campionato ha prodotto si sommano ai dubbi, ai malumori, alle polemiche dei campionati che lo hanno preceduto.

In una bolla di instabilità e di precarietà vacillante che è la sintesi del sistema calcio italiano.

Non è il calcio che mi piace.

Macaco Chiellini in tv rivendica ancora i 36 scudetti bianconeri irridendo vecchie colpe e responsabilità gravissime accertate e decretate a suo tempo da una sentenza dura ma sacrosanta che andrebbe solamente rispettata.

Per correttezza umana più che sportiva.

Le parole del Pomata a Madrid e reiterate a ogni occasione, sono molto vicine ad avvertimenti da teppa.

E lasciano intendere un metodo, un costume, un’abitudine a un potere prevaricante, sopraffattore e dispotico che non hanno nessuna familiarità con la competizione sportiva.

Quelle parole saranno opportunamente valutate in sede europea.

Ed è agghiacciante il monito di responsabilità che la asservita Gazzetta (considerato un po’ da tutti il massimo organo dello sport italiano) rivolge all’Uefa ricordando che una sentenza di squalifica potrebbe compromettere l’epilogo aureo di una leggenda del calcio.

Gasperini

In questo clima inquieto esplode il caso inquietantissimo di Gasp, minacciato, a suo dire, dall’arbitro Luca Pairetto.

Luca Pairetto è figlio dell’ex designatore Pierluigi, coinvolto in Calciopoli e condannato a 2 anni e 6 mesi nella sentenza del CONI.

Ma è anche fratello di Alberto. Che serenamente lavora come dirigente alla Juventus FC.

Non è il calcio che mi piace.

Il segnale a Marassi

Tutte le trasferte del Napoli sono state accompagnate da cori razzisti incivili e violenti nella totale indifferenza delle autorità.

Spesso la squadra ha dovuto giocare anche contro un clima ostile di odio e di disprezzo psicologicamente molto penalizzante.

Alla penultima giornata di campionato finalmente un segnale.

Di nessuna importanza ai fini della risoluzione del problema alla base.
Che andrebbe invece affrontato con provvedimenti drastici che responsabilizzino le società in modo concreto.

Ma almeno un segnale.

Cinque minuti di stop a Marassi.

Poi il goal meraviglia di Arcadio l’armadio di cristallo.

E la sua linguaccia irriverente.

Albert Eintsein.

La linguaccia di Andy Warhol per i Rolling Stones.

Il gesto gaio che nella sua disarmante semplicità è la sintesi del malcontento e della protesta contro qualcosa che non ci piace.

Ma anche l’affermazione di una forza diversa.
Inafferrabile e indomabile.
Come la gioia di essere vivi.

L’arbitro tira fuori il giallo.

Non è il calcio che mi piace.

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